Trenta anni fa, la scrittrice Catherine Clément, allieva di Claude Lévi-Strauss pubblico, per i tipi di Grasset, un libro di successo in Francia (e non solo) : “L’Opéra ou La Défaite des Femmes” (“L’opera ovvero la disfatta delle donne”). L’Italia è stato uno dei pochi Paesi dove, che io sappia, non è giunto in traduzione; eravamo già più emancipati dei nostri cognati francesi. Il volume è un’interpretazione della librettistica – dalle origine al Novecento – per dimostrare come nel teatro in musica le donne siano costantemente vittime: termina con un “elogio del paganesimo” poiché la determinante sottostante della “disfatta” sarebbe la religione che, declinata in più maniere, vuole la donna “sottoposta”, “sottomessa” e “sconfitta” anche sulla scena e nel golfo mistico.
Per mera coincidenza esce in un libro collettaneo (“Antinomies of Arts and Culture”, Duke University Press), un saggio di uno dei maggiori specialisti di arte cinese, Gao Minglu, ora all’Università di Pittsburg (“Particular Time, Specific Space, My Truth”) il quale confuta l’assunto: neanche in Cina (dove la donne hanno guadagnato l’accesso all’indipendenza economica ed all’istruzione superiore, molto più tardi che in Europa ed in America), nelle arti (in quelle sceniche in particolare) non sono mai rimaste indietro- né nella cultura tradizionale né nella modernizzazione in corso (in varie forme e guise) sin dagli Anni Venti.
Senza scomodare le analisi di Gao Minglu, basta andare a teatro in questi giorni per ascoltare e vedere tre spettacoli che smentiscono apertamente la Clément. In primo luogo il nuovo fantasmagorico allestimento de “Il Crespuscolo degli Dei” di Wagner che, curato dalla Fura dels Bua e guidato dalla bacchetta di Zubin Mehta, ha debuttato a Firenze (dove è in scena sino al 9 maggio) e si potrà gustare a Valencia in giugno e luglio – prima di riaverlo a Firenze per il bicentario della nascita dell’autore. Circa un terzo del lavoro di Catherine Clément (da p.265 a p.330) è dedicato alle donne “perdenti” nella tetralogia wagneriana - uno psicodramma di stupri in famiglia. Nella quattro opere c’è indubbiamente un bel po’ di sesso- sempre molto consenziente (nei 45 minuti finali di “Sigfrido” è la donna a mostrare al ragazzo come si fa). Nell’ultima scena de “Il Crepuscolo” è chiaro chi ha il coltello dalla parte del manico: d’un sol colpo, Brunilde attizza la pira che distruggerà il Regno terreno, farà dissolvere gli Dei, straripare il Reno e la libererà di tutti i suoi avversari. Sigfrido, pur svezzato rispetto alla puntata precedente, è un fragile virgulto: appena arrivato a palazzo reale, fa la doccia e si getta (senza successo) su Gutrune; le ninfe lo stuzzicano ma va in bianco. Ancora peggio per gli altri “maschioni” del palazzo: intrigano tanto da imbrogliare pure se stessi, uno uccide l’altro ed il sopravvissuto viene gentilmente affogato dalle deliziose ninfe.
A Venezia ha debuttato un nuovo allestimento di “Maria Stuarda” di Gaetano Donizetti (che andrà anche a Trieste, Palermo e Napoli). Parte della “trilogia delle Regine Tudor”, si svolge in un immenso labirinto dove il confronto è tra Elisabetta I e Maria di Scozia: si contendono non solo il potere ma anche Leicester (da portarsi sotto le lenzuola). La partitura è ancora più chiara del libretto: Elisabetta è un contralto e Maria un soprano “assoluto” (voci forti per forti personalità) mentre il contino è quasi un tenore di grazia (come si addice a chi è mero oggetto, di potere e di sesso).
Ancora più palese “La Dama di Picche” di Peter I. Tchiacovsky , in generale comunque poco interessato al genere femminile. Tra tanti personaggi, la protagonista assoluta è la vecchia Contessa che conosce la combinazione segreta per vincere al tavolo da gioco. Canta poco ma è sempre presente in spirito e tira le fila di tutto e di tutti. A Torino, il ruolo è affidato alla 75nne Anja Silja che di potere se ne intende. Già in carriera a 18 anni, la ricordo nel 1963 nel ruolo di Isotta al Teatro dell’Opera di Roma. Il regista era Wieland Wagner (notoriamente suo amante), il maestro concertatore André Cluytens (anche lui suo amante), Stava per sposare il direttore d’orchestra Cristoph von Donánhyi (da cui ebbe tre figli): Le chiesi se non si sentisse in imbarazzo: mi rispose che stava provando “Capriccio” di Richard Strauss , la cui protagonista , vedovella trentenne, si porta a letto, contemporaneamente, due ventiquattrenni. Mentre, al suono dell’arpa, cala il sipario.
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