Da alcune settimane si legge sulla stampa che ci sarebbero poltronissime vuote, od in procinto di essere liberate, in importanti datori di lavoro romani quali il Teatro dell'Opera, l'Acea ed altre aziende a partecipazione pubblica. Dai giornali si apprende anche che i candidati, e gli autocandidati, pullulano. Dato che sono romano, a riposo (ovvero, in burocratese, in quiescenza o, in lessico dei comuni mortali, in pensione) da un mese (dopo avere compiuto una prima carriera in Banca mondiale ed una seconda in vari rami della pubblica amministrazione, mantenendo sempre un piede nell'insegnamento ed un secondo nella pubblicistica), penso sia il caso che mi autocandidi pure io. Gli incarichi in ballo sono perfettamente compatibili con ciò che faccio adesso insegno in due università private (una cattolica ed una straniera) e collaboro a giornali. Hanno il vantaggio di sedi di lavoro abbastanza vicine alla casa dove abito; in effetti, a poche fermate di metropolitana, con la conseguenza che si risparmierebbe in auto blu o grigie (e sopratutto in autisti), anche poiché mi è stato raccomandato di fare più moto possibile.
Dato che ho lavorato per decenni su temi di economia e finanza con particolare attenzione all'energia ed all'ambiente, una collocazione in Acea sarebbe forse un po' troppo simile a quanto fatto in ambedue la carriere perseguite. L'atmosfera sembra appassionante: secondo i giornali, l'aria pare si possa tagliare a fette e girano coltelli. Ci potrebbero essere battaglie vivaci e focose , che alla mia potrebbero essere utili a rinvigorire (meglio, per così dire, de Le Pillole di Ercole della pièce di Maurice Hennequin e Paul Bilhaud). Si vivrebbe, però. in un mondo di gas, elettricità, fogne ed acqua tutto necessario, anzi indispensabile, ma non necessariamente in linea con i gusti di un siciliano che ha studiato i classici ed al liceo era imbattibile in greco.
Meglio l'Opera con i vellutati palchi del Costanzi ed il birichino stile liberty del Nazionale. Frequento il Costanzi da quando avevo 12 anni; e ricordo il Nazionale quando si chiamava Supercinema, una delle prime sale romane attrezzata con quel Cinemascope (ed altri grandi schermi) con cui si pensava di frenare la marcia della televisione. Ho dimestichezza con le coulisses di numerosi teatri d'opera in Europa, Nord America , Asia e perfino Africa (che delizia la vecchia Opera del Cairo, distrutta da un incendio ! Che mestizia la pur modesta Haile Selassie I Opera House di Addis Ababa, trasformata quasi in una sede di partito ai tempi di Menghistu). Nei teatri d'opera ho fatto di tutto. Da Vice Presidente di una piccola, ma prestigiosa, compagnia: il Lirico Sperimentale di Spoleto a comparsa alla Opera House di Washington; negli Anni 70, le comparse erano di massima melomani volontari addestrati dai registi durante le prove (ho fucilato un bel po' di Cavaradossi, marciato trionfalmente vestito da egiziano, scorrazzato sul palcoscenico in guisa di nobile brabantino (in Lohengrin), pure il minatore ed il cow boy in numerose Fanciulle del West). Mi intendo di bilanci ; quindi, potrei gestire la contabilità, pure sovraintendere alla gestione tutta della macchina; da una ventina d'anni faccio il chroniqueur per testate italiane e straniere in materia di spettacoli d'opera; quindi, se non proprio direttore artistico, potrei esserne assistente o consulente. C'è un unico incarico a cui notoriamente non sono adatto: responsabile di trucco-parrucco. Sempre scapigliato e con resti di crema da barba nelle orecchie, farei una magra figura. Nella tornata di nomine, visto che circolano nomi associati a disastri finanziari (e non solo) di teatri, prendete in conto pure me.
(Giuseppe Pennisi)
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