L’INFLAZIONE BUSSA ALLE PORTE DELL’OCCIDENTE
Giuseppe Pennisi
Prepariamoci ad un secondo decennio del XXI secolo caratterizzato da un’ondata d’inflazione , in quella un tempo chiamata la “comunità economica atlantica” (Nord America ed Europa). Non sarà analoga all’inflazione che ha segnato gli Anni 70- tassi annui di aumento dei prezzi al consumo a due cifre, generalizzata in tutto il mondo. Da un lato, le aree “emergenti” (sarebbe meglio considerarle “emerse”) avranno incrementi dei prezzi più contenuti di quelli che caratterizzeranno la zona “atlantica” – sia perché applicano strumenti diretti di controllo e forme di razionamento sia poiché utilizzano in modo più disinvolto del resto del mondo il “prezzo dei prezzi”, ossia il tasso di cambio. Da altro, in base all’esperienza degli Anni 70 (e dei suoi strascichi negli Anni 80), nella comunità “atlantica” abbiamo imparato a meglio utilizzare il “fine tuning” (ossia il virtuosismo) delle politiche della moneta e del bilancio accompagnandolo con misure microeconomiche, mirate principalmente a potenziare la concorrenza. Anche senza cadere nella trappola degli Anni 70, si possono prevedere tassi annui d’aumento dei prezzi al consumo del 5-6%, con un conseguente inasprimento dei tassi d’interesse (specialmente duro per chi s’indebita a tasso variabile) ed una possibile revisione degli statuti Bce (la quale, secondo quanto oggi in vigore, sarebbe costretta ad applicare restrizioni severissime).
Quanto sino a ieri considerata un’ipotesi (pur se sempre più probabile) scaturente dai modelli econometrici – e dai sussurri e grida degli sherpa per l’ormai imminente G8- viene rivelato da quel si sa del piano FIAT (il testo integrale è ancora riservato) per mettere insieme le attività del Lingotto (con la Chrysler) con quelle dell’Opel, della Vauxhall e della GM) in Sud America. Il Tempo del 19 maggio ha indicato i termini della leva finanziaria tra i quattro punti a cui il piano avrebbe dovuto dare risposte. Su tre punti (sede della plancia di comando, metodi per fondere culture aziendali differenti, futuro degli stabilimenti in territorio italiano), le risposte non ci sono ancora state. Sulla leva finanziaria, invece, la FIAT è stata chiarissima: non intende aumentarla. La sua è un’offerta “no cash” (senza esborso di contante), dando in cambio “assets” principalmente intangibili, come le sinergie, il know how e la ricerca. “Non vuole coprire il rischio finanziario con il proprio capitale”, ha commentato il leader dei metalmeccanici tedeschi Klaus Franz. A questa considerazione micro-economica aziendalistica, si accompagna, però, quella che gli economisti chiamano una “preferenza rivelata” in termini di prospettive macroeconomiche: verosimilmente pure il suo ufficio studi ritiene che, come anticipato da Il Tempo, c’è un patto implicito per uscire dalla montagna di debito (negli Usa pari a tre volte il pil, in rapida crescita in Europa) facendo leva sull’inflazione – nonostante si tratti della più iniqua delle imposte. E’ la rotta segnata dagli “Obama boys”. Sta all’Ue avere la forza di farne adottare una ad essa altermativa.
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