A fine maggio, sono andati in scena a Roma ed a Torino due drammi in musica che hanno come tratto in comune di avere avuto la prima rappresentazione a fine Ottocento e richiedere un grande organico orchestrale. Il primo è Pagliacci di Ruggero Leoncavallo (70 minuti di musica, sette solisti, coro, una scena unica- una piazza in un villaggio in Calabria). E’ considerato “il manifesto” del “verismo”, anche in quanto il Prologo ne decanta la poetica. Molto popolare; ne circolano ogni estate edizioni in cui l’organico orchestrale è ridotto a 32 elementi, allo stesso Metropolitan di New York (dove il regista a scenografo dell’edizione romana, Franco Zeffirelli, è di casa) viene eseguita con 70 orchestrali (40 quando la compagnia è nell’annuale tournée). A Torino è in scena, “Dama di Picche” di Pietr Ill’c Cajkovskij , opera poco rappresentata per i costi che di solito il suo allestimento comporta; a Roma negli Anni 90, la sua messa in scena (lo spettacolo veniva in gran misura noleggiato dalla Russia) è stata annullata all’ultima ora poiché, secondo i calcoli del sub-commissario dell’epoca (un Consigliere di Stato) sarebbe stata la goccia finale che avrebbe provocato il dissesto: oltre tre ore di musica, sette quadri, 15 solisti, doppio coro con 100 coristi, un coro di 25 bambini e anche una pantomima pastorale in un quadro di “teatro-nel-teatro”. A Torino, quando si è sentito odor di tagli di bilancio il regista programmato per lo spettacolo (Dmitri Cherniakov) è sparito senza lasciare tracce; il tenore (Misha Didyk, diventato una star internazionale dopo il successo riportato nel 2008 a La Scala ed alla Staatsoper di Berlino nel “Giocatore” di Prokofief) è scomparso pure lui. Eppure i torinesi e il direttore musicale del Regio, Gianandrea Noseda, sono caparbi e, dopo decenni, una loro “Dama di Picche” la volevano: l’ultimo allestimento scenico sotto la Mole, in traduzione ritmica italiana, risaliva al 1963 (al Teatro Nuovo) anche se non sono mancate edizioni in forma di concerto in lingua originale e versione integrale, all’auditorium Rai (la più recente nel 1990). E’ stato chiamato lo scorso aprile il regista franco-tunisino ma di cultura italiana (e di ascendenza triestina) Denis Krief con l’incarico di curare scene, costumi e luci con un budget - pare - equivalente ad un decimo di quello di Pagliacci. E’ stato anche ingaggiato un giovane tenore dall’aspetto prestante ma del tutto sconosciuto al di fuori dei confini della “Grande Madre Russia”- Maksim Aksënov, dal 22 maggio (la prima è stata il 21 maggio) firma scritture con i maggiori teatri occidentali.
Mentre a Roma Pagliacci si sviluppa come uno spettacolo hollywoodiano: duecento persone in scena tra cori e comparse, un cavallo, una lambretta, una moto giapponese, cambi a vista e chi più ne ha più ne metta, ne la Dama torinese, il tormento dei tre protagonisti e la dissoluzione di una società (quella russa alla fine dell’Ottocento) non è rappresentata nel Settecento di maniera previsto dal libretto. Cajkovskij scava nei propri problemi, incluse le proprie passioni carnali, attraverso un Settecento visionario, quale percepito alle soglie del Novecento. Krief afferma di avere concepito lo spettacolo in tre giorni e di averlo realizzato esclusivamente con le maestranze del Regio: una scena unica per i sette quadri, con pochi elementi per accennare ai giardini di San Pietroburgo, ai saloni delle feste, agli appartamenti della Contessa, alle bische, e alle caserme. In breve, una grande piattaforma verde che si scompone per rappresentare l’ossessione del protagonista per il gioco. I costumi se ricordano la fine dell’Ottocento, periodo durante il quale venne composto il lavoro. Il bianco e nero diventa sempre più spettrale di atto in atto e di scena in scena; la stessa bisca in cui termina l’opera appare un lugubre cimitero in cui i giocatori sono fantasmi di una società ormai in decomposizione. Uno spettacolo “low cost ma anche elegantissimo. Un segnale esplicito rivolto ad altri teatri: si può risparmiare senza fare compromessi sulla qualità. In questo senso – ricordiamolo- si stanno muovendo i maggiori teatri tedeschi e francesi. Pure se gli allestimenti gravano relativamente poco sui costi totali è un tassello da non sottovalutare: la battaglia della Marna venne vinta correndo al luogo dello scontro anche in bicicletta.
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