Se il buon giorno si vede dal mattino, le complicazioni della trattativa per la partnership della Fiat con l’Opel (la forma giuridica non è ancora particolarmente chiara) non promettono un esito nella direziona auspicato dal Lingotto. Cerchiamo di capire quali sono le determinanti analizzando sia informazioni note da tempo sia dati freschi che provengono dal mondo politico e finanziario tedesco:
Il primo ostacolo è al Ministero dell’Economia. Il Ministro Karl-Theodor zu Guttemberg non cela di non avere fiducia nel risanamento della FIAT che sarebbe stato effettuato grazie alla regia di Sergio Marchionne. I suoi uffici gli hanno fatto notare che nel “Milleprororoghe” italiano del 2007 (sul 2008), presentato dal Governo Prodi”in “articulo mortis” si prevedeva un’estensione della “rottamazione” proprio per dare ossigeno al Lingotto(a spese dei contribuenti italiani). Nessuno (tranne che nei libri di favole) dispone di bacchetta magica per una svolta così rapida) Inoltre, è la personalità stessa dell’italo-canadese (e i suoi rapporti con ambienti italo-canadesi), nonché l’illazione (forse messa in giro artatamente) che Marchionne sarebbe superstizioso (il maglioncino, dicono le malelingue, servirebbe da amuleto), che poco collimano con le abitudini e le frequentazioni dell’aristocratico giovane Ministro tedesco. In breve, per zu Guttemberg si tratterebbe di un bluff allo scopo di ritardare l’agonia della Opel e spillare risorse ai contribuenti tedeschi.
Il secondo ostacolo sono gli stretti rapporti (in effetti genetici) tra il Partito Socialdemocratico ed i sindacati, specialmente della metalmeccanica. Per questi ultimi è chiaro che in Europa si è in una crisi strutturale di produzione eccessiva: l’UE a 27 ha il 10% della popolazione mondiale ma il 30% della produzione di auto (mentre Cina ed India stanno puntando forte del settore – la “Nano” della Tata costa, su strada, 2600 dollari in versione supereconomica e 4000 in versione “de luxe” con aria condizionata). La FIAT – sostengono- non è mai stata chiara su dove i 18.000 o 10.000 posti di lavoro verranno tagliati; temono che in un gruppo la cui testa è a Torino, la Germania sarà costretta a pagare un costo elevato.
In terzo ostacolo è la localizzazione dei 10 impianti Opel in una manciata di Länder dove alle prossime elezioni di settembre le maggioranze sono in bilico – pure a ragione del complesso sistema elettorale della Repubblica Federale. Perché regalarle al non tanto folto partito pro-FIAT, mentre si può gradualmente passare attraverso una procedura fallimentare e la cessione di singoli rami d’azienda, accontentando medie aziende locali?
Il quarto ostacolo è finanziario. All’Ifo (il più autorevole istituto tedesco di analisi economica) e nelle maggiori banche si ritiene che tra un paio d’anni si andrà verso un considerevole aumento dei tassi nel Nord America ed in Europa. La FIAT non porta cash (contante) ma chiede prestiti ed ostenta la qualità delle proprie attività intangibili (sinergie, tecnologie). La Magna International arriva con una valigia piena di banconote. Il percorso del fallimento pilotato della Opel (che molti tedeschi preferiscono) non richiede moneta, ma neanche nozze.
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