I tempi ed i modi dell’uscite dalla crisi economica e finanziaria internazionale e dell’allestimento di quello che sarà l’economia internazionale del dopo crisi - non deve fare perdere di vista una caratteristica importante di questi ultimi anni: la crescita esponenziale, ed a ritmi che non hanno precedenti, dell’indebitamento totale (quindi, sia pubblico sia privato) in rapporto alla produzione. Ci sono casi estremi: nell’arco di solamente due anni, a ragione , in gran parte, della dilatazione della spesa pubblica per i “salvataggi bancari”, lo stock di debito dello Stato, degli enti locali e del settore pubblici allargato in senso lato della Gran Bretagna è passato dal 40% all’80% del pil e minaccia di crescere ulteriormente; alcuni Paesi neo-comunitari (ad esempio, l’Ungheria) si sono indebitati da essere alle soglie dell’insolvenza.
Più di questi casi estremi deve preoccupare la tendenza generale. Negli Stati Uniti, a motivo del tasso di risparmio negativo delle famiglie e della forte leva finanziaria con cui hanno operato le imprese (nonché della politica di spesa pubblica per emergenze di ogni sorta e per stimolare la domanda aggregata), a fine 2008 il rapporto debito totale: pil era quasi al 3:1, il doppio di quelle contabilizzato nel 1929 (quando scoppiò la Grande Depressione). Gli altri Paesi Ocse non stanno molto meglio: in Irlanda, Spagna, Australia e Nuova Zelanda, l’espansione del credito totale interno dal 1977 al 2007 a tassi annui superiori al 10% (molto più alti, dunque, di quelli del pil nominale) ha creato montagne di debito totale in proporzione alla produzione che si pongono come un macigno sulla via della ripresa di medio e lungo termine. I dati citati sono rigorosamente quelli di fonti ufficiali che, come è noto, o non tengono conto di forme “innovative” di indebitamento (quali quelle tramite Siv- Special investment vehicles) o gestioni fuori bilancio o le sottostimano. Verosimilmente la situazione è molto peggiore.
Per vedere come uscire dal pasticcio, occorre riflettere su come ci si è cascati. Mi torna in mente un breve saggio pubblicato una ventina di anni orsono, sulla scia della crisi delle Borse dell’autunno 1987. Allora, una spiegazione era nell’”ipotesi dell’instabilità finanziaria” di Hyman Minsky, economista americano morto nel 1996 ed i cui lavori sono stati in gran misura dimenticati. Secondo lo schema di Minsky, i periodi di stabilità e di crescita reale hanno i germi dell’instabilità poiché abbassano l’avversione al rischio e rendono individui, famiglie, imprese,pubbliche amministrazioni e governi più spericolati e, dunque, maggiormente propensi ad indebitarsi per intraprese a rendimento molto contenuto o anche negativo. Minsky vedeva cicli relativamente brevi in cui ad una fase d’instabilità ne seguiva una di tremori e timori che inducevano (per qualche tempo) comportamenti virtuosi. Per poi ricominciare. Il periodo detto di “grande moderazione” che ha caratterizzato gli ultimi vent’anni (con interruzioni ben localizzate su piano regionale, come la crisi asiatica), esce dallo schema di Minsky in quanto ha portato all’annullamento quasi dell’avversione al rischio: si è diffusa l’opinione che le nuove tecniche di finanza strutturata avrebbero parcellizzato il rischio sino a farlo sparire, causando un indebitamento sempre più marcati- sino a livelli superiori a quelli dei mesi precedenti la Grande Depressione.
Estrapolando dallo schema di Minsky si può dire che per uscire da quello che pare un Himalaya del debito non ci sono che due strade, ambedue irte di pericoli. Se si sceglie (come si fece negli Anni Trenta) un percorso di bassa inflazione, c’è la probabilità di fallimenti a catena ed il pericolo di scivolare nella Depressone. Se si prende il percorso dell’inflazione sostenuta, è fattibile abbattere il debito in modo, però, iniquo: l’inflazione ed il rientro dal debito pesano soprattutto selle fasce a più basso reddito e sulle generazioni giovani (nonché su quelle future). Dato che nel 2009 i maggiori Paesi industrializzati hanno un indebitamente netto delle pubbliche amministrazioni pari al 9% del pil e che la liquidità Usa sta raddoppiando ogni sei mesi pare che sia stato implicitamente scelto il percorso dell’inflazione sostenuta. Con le implicazioni di etica pubblica che ciò comporta. Occorre parlane andando verso il G8 . Ed al G8.
Per saperne di più
Keen S. (2001) Debunking Economcs. The Emperor’s Clothes and the Social Sciences The Pluto Press
Minsky H. (1991) Financial Crisis: Systemic or Idiosincratic Bard College, The Levy Economic Institute n. 51
Pennisi G. (1988) La svolta economica rivelata dal crack in Borsa e La svolta economica: rischi tensioni, opportunità MondOperaio nn. 1 e 2
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