sabato 9 maggio 2009

FIRENZE E MEHTA SONO TORNATI AL RING TRENT’ANNI DOPO, Il Domenicale 9 maggio

Per toccare con mano quanto è cambiata l’Italia negli ultimi trent’anni è utile mettere a confronto le due edizioni del wagneriano “Anello del Nibelungo” (in gergo il Ring) presentate a Firenze: Il direttore musicale di tutte e due è Zubin Mehta. La prima, nel 1979-81, è stata allestita da una squadra che ancora domina il panorama italiano: Luca Ronconi (regia) e Pier Luigi Pizzi (scene e costumi). La seconda da un gruppo d’avanguardia catalano, ritenuto sino ad una diecina di anni fa eversivo (sotto il profilo teatrale), La Fura dels Baus. Della prima non resta né un DvD né un Vhs e neanche una registrazione: unicamente un bel libro di fotografie. Ora che si è completato il ciclo delle quattro opere, con Götterdämmerung, in prima mondiale il 29 aprile (compleanno di Mehta) a Firenze per approdare, poi, a Valencia in giugno (il cui teatro la coproduce), la seconda è destinata alle grandi reti televisive ed ai Dvd. Dal vivo il Ring italo-spagnolo si potrà gustare integralmente a Valencia in luglio e di nuovo a Firenze nella primavera del 2013 in occasione del bicentenario della nascita di Richard Wagner.
L’edizione del 1979-81 era stata concepita per La Scala, dove andò in scena unicamente un’opera nel 1975 ma l’intrapresa venne interrotta poiché considerata troppo “rivoluzionaria” . Venne ripresa a Firenze dopo che nel 1976, in occasione del centenario del primo festival wagneriano, l’allora giovanissimo Patrice Chéreau ed uno degli astri della musica contemporanea Pierre Boulez compirono un’operazione ardita: trasferire l’azione dalla Germania mitologica all’inizio dell’industrializzazione trionfante e stringere i tempi musicali per evidenziare quanto di Novecentesco (ivi compresi i germi della dodecafonia) ci fosse nel Ring .Lo spettacolo si può gustare ancora in un ottimo cofanetto Dvd della Deutsche Grammophon. L’allestimento di Ronconi, Pizzi e Mehta prende l’avvio dalla lezione di Chéreau – Boulez ma sotto il profilo drammaturgico enfatizza molto più gli aspetti socio-politici: quasi interamente in interni siamo in un mondo guglielmino in fase di dissoluzione – fin troppo evidenti i riferimenti ad un’Italia in cerca di una palingenesi: tra la prima e la seconda parte della tetralogia avvenne l’ancora misteriosa strage alla stazione di Bologna. Mehta non segue Boulez, ma piuttosto Furtwängler (quello del mirabile Rai Ring perché registrato nel 1953 a Roma nell’auditorio della Rai) ; un piglio drammatico ed eroico (non aiutato da tutti i cantanti; Jean Cox, Sigfrido, aveva già superato il capolinea).
Sotto il profilo dell’allestimento scenico e della regia, il “Ring” di Firenze e Valencia ed in particolare il “Götterdämmerung” che ne segna la trionfante conclusione (15 minuti di applausi dopo sei di spettacolo e prima di una cena per il compleanno di Mehat) sono una Gesmtkunswerk (opera d’arte totale, nel lessico wagneriano): cinematografia, anche a tre dimensioni, proiezioni computerizzate, mimi, azione coreografica in scena e sinfonismo continuo nel golfo mistico, vengonoi utilizzati in ì integrato con effetti speciali che superano quelli dei più avanzati film di Hollywood. In equilibrio tra fantascienza e poesia, ciò rispecchia la visione wagneriana di un’opera irrepetibile, lanciata verso il futuro. La lettura del mito è moderna, senza orpelli socio-politici. Il tema unificante della tetralogia è in versi scritti da Wagner non ancora trentenne per il lavoro (che aveva già in mente) ed espunti dalla versione finale: “Se passò come un soffio la stirpe degli dei/ se torno a lasciare il mondo senza Signore/ al mondo mostro ora il tesoro del mio più sacro sapere/Non valori, non ori, neppure la magnificenza degli dei;/ né casa né corte/ né l’altero splendore/ né il falso legame/né i torbidi patti/ neppure la dura legge d’ipocrite abitudini/fortunati nella gioia e nel dolore/ Lasciate esistere solo l’amore”. Un tema unificante, quindi, filosofico e se vogliamo religioso. Che ben si adatta alla lettura sia eminentemente lirica di Mehta (molto differente da quella del 1979-81) ed ad un cast vocale effettivamente all’altezza.
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Pochi sanno che da oltre vent’anni il fior fiore dei cantati wagneriani viene formato in Italia nell’Accademia Montegral situata nel Convento dell’Angelo nelle ridenti colline nei pressi di Lucca. L’Accademia, fondata e diretta da Gustav Kuhn (uno dei maggiori concertatori wagneriani viventi), è finanziata da alcune aziende austriache e dalla Fondazione della Cassa di Risparmio di Lucca. Ha un festival annuale (il prossimo è dal 14 al 18 maggio) nel Convento dove si coniuga musica “storica” (da Bach a Puccini) con contemporaneità (Eggert , Ligeti); si conclude la domenica mattina con la celebrazione dell’Eucarestia (quest’anno accompagnata dalla rossiniana “Petite Messe Solennelle”); per informazioni, www.montegral.com o 0583 406300. Segue un festival estivo nel Tirolo , a Erl, dove per diversi anni è stato messo in scene l’intero Ring in un allestimento a basso costo ma modernissimo; nel luglio 2009, le opere in cartellone sono “I Maestri Cantori di Norimberga” di Wagner ed “Elektra” di Strauss ed una ricca serie di concerti (www.tiroler-festpiele.at) . Numerosi cantati addestrati al Convento dell’Angelo e lanciati a Erl solcano i palcoscenici di Vienna, Berlino, Londra e New York; tra essi alcuni giovani italiani wagneriani come Duccio Dal Monte ed Elena Comotti d’Adda. Pochi Sovrintendenti italiani pare se ne siano accorti.

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