martedì 5 maggio 2009

STAMPA SCRITTA: OCCORRE UNA TEORIA Formiche maggio

La stampa scritta è in pericolo. Negli ultimi cinque anni, il margine operativo lordo di The Washington Post ha segnato una flessione del 25% e quello del New York Times del 50%. Il Chicago Tribune, il Los Angeles Times ed altre sei testate un tempo importanti hanno dichiarato fallimento. La chiusura di giornali, anche piccoli, scalfisce ed incrina uno dei beni pubblici per eccellenza: la democrazia. Lo diceva Thomas Jefferson oltre 200 anni fa e lo dimostra oggi un’analisi empirica recente della Università di Princeton : la morte per inedia, a fine 2007, del piccolo Cincinnati Post (una circolazione di appena 27.000 copie) ha comportato una riduzione della partecipazione alle elezioni nei quartieri dove il quotidiano era più letto, nonché la sconfitta sistematica dei canditati a incarichi municipali residenti nei quartieri medesimi. Quasi in parallelo, uno studio comparato della University of Virginia, mostra che, in 115 Paesi (sull’arco di venti anni), c’è un forte nesso tra investimenti diretti dall’estero, progresso tecnologico e libertà di stampa.
Pullulano proposte . Per noi economisti, molte di queste proposte hanno un difetto: non si fondano su una teoria economica solida del giornalismo. In politica economica, e nelle politiche pubbliche settoriali, le carte vincenti non sono quelle estemporanee ma basate su una teoria rigorosa.
Un appello in tal senso viene dalla Vecchia Europa e dal Paese (la Repubblica Federale Tedesca), il cui maggiore editore di stampa scritta (Axel Springer) ha appena chiuso il consuntivo 2008 con il più utile netto segnato nei 61 anni in cui è in operatività . La lanciano, in uno degli ultimi numeri della rivista scientifica tedesca “Kyklos”, Susanne Fenger e Stephan Russ-Mohl . L’idea è di costruire una teoria economia del giornalismo, analoga alla teoria economica della democrazia, della politica, delle religioni, dell’arte e via discorrendo: mettendo gli strumenti più recenti della disciplina economica a servizio della professione, si possono curare una serie di malanni (quali l’influenza delle relazioni pubbliche sui media, la vera o presunta leggerezza- oppure l’eccesso- nel trattamento delle informazioni, il giornalismo “da rincorsa”, il giornalismo da “consigliere del principe”) che non hanno giovato al settore e sono causa di perdita di lettori e di pubblicità. Sussanne Fenger e Stephan Russ-Mohl tratteggiano le basi di una teoria economica del giornalismo da cui scaturirebbero quelle prassi d’effettiva indipendenza, ed autorevolezza che , da un lato, farebbero riacquistare prestigio alla professione e, dall’altro, renderebbero finanziariamente, politicamente e socialmente fattibili soluzioni innovative.
Tra queste merita interesse quella formulata da David Swensen, direttore della finanza alla Università di Yale, e Michael Schmidt, docente di finanza aziendale presso lo stesso ateneo: dato che la carta stampata è essenziale alla democrazia trasformiamo la natura economica dell’editoria in un comparto come le fondazioni non-profit (analogo alle università private) il cui stock di capitale sia una dotazione, fornita da filantropi (agevolati da esenzioni tributarie) e le cui finalità siano quelle di fornire informazioni ed analisi (se si vuole pure di tendenza) ma svincolate dalle esigenze di breve periodo di rispondere a questa od a quella lobby, od a questo o a quel partito politico, per pubblicità, per acquisti d’abbonamenti all’ingrosso e per altre facilitazioni. Si tratterebbe di fondazioni svincolate solo in parte dal mercato: così come le università fanno pagare rette (direttamente proporzionali alla loro qualità e reputazione), i giornali andrebbero in edicola e farebbero a gara per il mercato pubblicitario. Potrebbero avere sovvenzioni pubbliche dirette a combattere “il morbo di Baumol” dal nome dell’economista che formulò teoremi secondo cui perdono continuamente competitività (e muoiono per progressivo appassimento) i settori dove l’innovazione tecnologica è bassa e sono molto importanti certe categorie di lavoro professionale. In giornali di proprietà di fondazioni non profit , i giornalisti guadagnerebbero in autonomia ed autorevolezza; come per le università, la pubblicità, i lettori e le sovvenzioni correrebbero verso chi è più autorevole. La proposta include una simulazione: The York Times necessita, a organizzazione e costi correnti (200 milioni di dollari l’anno), una fondazione dovrebbe avere una dotazione di 5 miliardi di dollari, cifra in linea con le dotazioni delle grandi università.
Per saperne di più

Dutta N., Roy S. "The Impact of Foreign Direct Investment on Press Freedom" in
Kyklos, 2009 (in corso di stampa)

Fengler S., Russ-Mohl S."The Crumbling Hidden Wall: Towards an Economic Theory of Journalism" in Kyklos, Vol. 61, Issue 4, pp. 520-542, November 2008
Schulhofer-Wohl S, Garrido M. "Do Newspapers Matter? Evidence from the Closure of the Cincinnati Post" ,NBER Working Paper No. w14817

Nessun commento: