mercoledì 20 maggio 2009

Opera, trionfano a Roma i “Pagliacci” di Zeffirelli e Gelmetti, Il Velino 20 maggio

CLT -

Opera, trionfano a Roma i “Pagliacci” di Zeffirelli e Gelmetti
Roma, 20 mag (Velino) - L’opera lirica “ Pagliacci” di Ruggero Leoncavallo, portata in scena la prima volta nel 1892, è un prototipo del grande “dramma in musica” del Novecento, che in Italia prese il nome di “verismo”. Ispirato a un reale fatto di cronaca accaduto quando Leoncavallo aveva 14 anni e del quale si occupò suo padre, magistrato in Calabria, “ Pagliacci” di “verista” possiede la trama, o meglio il “fattaccio”, tratto, come si è detto, dalle cronache giudiziarie. Ma la musica, molto più elaborata di quanto mostrino le esecuzioni di maniera, scava, in modo espressionistico, nei personaggi e nelle situazioni molto più di quanto non riesca a fare l’azione scenica. Il prologo è un vero e proprio manifesto dell’estetica dell’opera “verista”, ma la grande e curata orchestrazione, il declamato che scivola in ariosi e lo stringato finale, collocano il lavoro già nel solco di quello che sarebbe stato l’espressionismo, mai davvero affermatosi in Italia.

Unitamente a gran parte della produzione “verista”, nonché della musica italiana degli anni Trenta, su cui è stata gettata una coltre di oblio, “ Pagliacci” è oggi snobbato da buona parte della critica, ma attira il pubblico. L’edizione presentata ieri a Roma, in scena sino al 27 maggio, è stata salutata da un Teatro dell’Opera stracolmo e da file al botteghino, nonostante il lavoro (due atti ma appena 70 minuti di musica) non fosse accompagnato, come di consueto, da “ Cavalleria Rusticana ” ma preceduto da tre brani orchestrali di Pietro Mascagni.

Che al pubblico piaccia il “drammone strappalacrime” ambientato nel proletariato del Sud, lo conferma il ricordo del successo raccolto alcuni anni fa, in piena estate e al chiuso del “Costanzi”, dall’edizione curata da Liliana Cavani, co-prodotta dai teatri di Bologna e di Catania, in cui si coglieva a pieno questo aspetto espressionista di “ Pagliacci ”. Allora le sfumature potevano essere colte in una serata in cui l’orchestra era guidata con perizia da Pier Giorgio Moranti e i tre ruoli principali affidati a Svetla Vassileva, José Cura e Leo Nucci, quanto di meglio, cioè, fosse disponibile sulla scena lirica per dare vita a Nedda, Canio e Tonio.

L’allestimento romano, per la regia di Franco Zeffirelli e la direzione musicale di Gianluigi Gelmetti, è destinato a girare il mondo. Dopo Firenze, Atene e Mosca pare destinato a New York, dove il regista fiorentino è particolarmente apprezzato (il “Met” gli ha dedicato un festival con la ripresa di tutti i suoi maggiori lavori messi in scena nel più importante teatro di Manhattan) e pure in altre piazze. Zeffirelli ha realizzato numerose edizioni del dramma in musica di Leoncavallo, tra cui una per il cinema. Sono tutte differenti. Tra le più recenti, da ricordare quella scaligera degli anni Ottanta, in cui l’azione venne situata in epoca fascista, e quella romana degli anni Novanta, interamente ambientata sotto un cavalcavia nei pressi di Casoria, alla periferia di Napoli. In quest’ultima, in un ambiente degradato di palazzoni fatiscenti, dove correvano lambrette e moto giapponesi (ma non mancavano cavalli, asini e auto d’epoca), si respirava aria di camorra, si spacciava e vi vagavano tra i 200 personaggi in scena prostitute multietniche.

Come è consuetudine nelle regie di Zeffirelli, è stata rivolta grande cura ai dettagli e non si cade mai nel volgare. La stessa scena del tentativo di violenza carnale da parte di Tonio nei confronti di Nedda è svolta con tatto e delicatezza. In questo contesto di squallore e povertà, scoppia il drammone del tradimento coniugale e del duplice omicidio (della moglie e dell’amante) da parte del capocomico durante una rappresentazione in piazza organizzata da una troupe di poveri artisti ambulanti. L’estro della regia di Zeffirelli è nel differente taglio ai due atti: neorealistico il primo e onirico, quasi felliniano, il secondo. Coglie, quindi, a pieno i fermenti espressionistici nella partitura di Leoncavallo, fermenti spesso sottovalutati da parte della critica.

Perfetta l’intesa tra la regia e la direzione musicale. Tra i tre protagonisti spicca Myrtò Papatanasiu (Nedda) perfetta nella recitazione e nell’emissione anche se con un volume non sempre adeguato per le dimensioni del Teatro dell’Opera. Stuart Neill (Canio) è un tenorone generoso che non si risparmia, infiamma il pubblico quando “spinge”, ma è poco adatto nelle “mezze voci”, dove va bene invece Seng-Hyoun Ko (Tonio). Negli altri ruoli, apprezzabili Danilo Formaggia (Peppe) e Domenico Balzani (Silvio). In breve, uno spettacolo tradizionale e dai toni colossal, ma che merita di essere visto ed ascoltato.

(Hans Sachs) 20 mag 2009 13:41

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