Delle opere dedicate da Donizetti alle Regine Tudor (tre costituiscono una vera e propria trilogia altamente drammatica, mentre la quarta è un lavoro semi-serio a lieto fine poco eseguito), “Maria Stuarda” è la più rappresentata. Si dispone di un’edizione critica in due atti curata da Anders Wiklund che cerca, al meglio, di proporre quella che sarebbe dovuta essere la versione destinata al San Carlo nel 1834: accentua come il dramma sia a due voci femminili (un soprano in grado di passare dalle vette della coloratura al declamato nel ruolo della Regina di Scozia ed un mezzo “spinto” in quello della Regina d’Inghilterra). Si contendono un tenore di grazia (il cui ruolo è peraltro limitato); è per il possesso del bel Leicester che Maria Stuarda viene inviata al capestro da Elisabetta. “Maria Stuarda” è un’opera compatta: circa due ore di musica rispetto alle quasi tre di “Anna Bolena” e “Roberto Devereux”
L’allestimento in scena a La Fenice sino al 3 maggio è una co-produzione con le fondazioni liriche di Trieste, Catania e Palermo , nei cui teatri si vedrà la prossima stagione- una forma di collaborazione importante in una fase di ristrettezze per tutti. Si basa su una regia geniale che fa piazza pulita di stemmi cinquecenteschi, di palazzi di cartapesta, di foreste su fondali dipinti e di catene e prigioni (nonché ovviamente dei cavalli nella scena della caccia): il dramma tra le due donne si consuma in un ambiente unico (un labirinto di granito che cambia di colore per riflettere stati d’animo ed atmosfera) – un approccio moderno anche se concettualmente accurato, sotto il profilo storico, data la centralità dei labirinti nel poetica di Shakespeare (l’epoca in cui si svolge il dramma) e di Schiller (dalla cui tragedia è tratto il libretto).
La concertazione puntuale di Fabrizio Maria Carminati esalta tre interpreti d’eccezione. Sonia Ganassi (Elisabetta) non scansa neanche un acuto del difficile ruolo, nonostante sia al quinto mese di gravidanza. Fiorenza Cedolins debutta in quello di Maria, ad alcune incertezze nella prima parte ha corrisposto, la sera della prima, un vero e proprio trionfo di pubblico nella seconda: il ruolo è terrificante e si temeva che, dopo tante interpretazioni pucciniane, il soprano avesse difficoltà. E’ ancora un soprano assoluto di classe. Josè Bros ha il timbro chiarissimo e delicato; riesce ad essere pure convincente come attore. Una felice sorpresa il giovane basso Mirco Palazzi nel ruolo di Talbot, il sacerdote cattolico che assiste Maria.
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