Musica, cosa intriga nel “Romeo et Juliette” di Berlioz
Roma, 20 apr (Velino) - A un suo compleanno “tondo”, quello in cui varcava il mezzo secolo, Erich Wolfgang Korngold, con un bicchiere di champagne in mano, disse: “Cinquant’anni sono troppi per essere ancora un enfant prodige”. Smise così di sbalordire con le musiche da film, grazie alle quali aveva collezionato premi Oscar e riconoscimenti vari, e tornò alle partiture semisperimentali della sua giovinezza in Europa, ritirandosi praticamente a vita privata. Di tutt’altro tenore la scelta di Lorin Maazel, enfant prodige assoluto. A undici anni, su invito di Toscanini, diresse l’orchestra della Nbc, quindi, dodicenne, su invito di Stokowski, la Los Angeles Philarmonic. A 75 anni ha iniziato una nuova carriera, quella di compositore di “grand opéra” del XXI secolo, pur continuando a concertare come direttore ospite e a dirigere il modernissimo Teatro dell’Opera di Valencia, il Palau de la Reina Sofia.
Sabato scorso, alle soglie degli 80 anni, atletico e scattante, è stato uno spettacolo vederlo a Roma sul podio dell’Accademia di Santa Cecilia. Accanto a lui, nella lunga parte che costituisce il finale di “Roméo et Juliette” di Hector Berlioz (in scena ancora stasera e domani), un altro “grande vecchio” che fu un semi-“enfant prodige”: il basso belga José van Dam (perché i programmi di sala non ricordano le sue origini italiane e il suo vero nome Giuseppe Battezzata Van Damme?). A 21 anni Van Dam era già protagonista all’Opéra di Parigi e adesso che ne ha quasi 70 riempie con la sua voce tonda e calda un auditorio di 2.800 posti. Il contrasto è netto con le due altre voci: Sara Mingardo, un contralto che sfiora la mezza età e si è meritata successi nei maggiori teatri, e il giovane Philippe Castagner, un tenorino canadese ma di formazione americana quasi di “grazia”, perfetto nell’emissione ma alle prese con una sala molto più grande di quelle a cui è abituato.
Ad accentuare questo contrasto, un piccolo coro nella prima parte che interloquisce con Mingardo e Castagner e tutto il coro maschile dell’Accademia, dalla seconda galleria, che dialoga con Van Dam, mentre Maazel e l’orchestra cesellano la scrittura di Berlioz. L’esecuzione da sola vale il concerto. Diversi i pareri dei critici, specialmente nostrani, sulla Symphonie Dramatique in cui Berlioz, seguendo unicamente in parte il testo shakespeariano, cerca di catturare lo spirito della tragedia di amore e morte. Più che affascinare il lavoro intriga. Ci sono innumerevoli versioni per il teatro in musica della tragedia di Shakespeare. Alcune francamente mediocri (quella di Marchetti), altre capolavori assoluti (penso a Bellini e Bernstein). Quella di Berlioz venne concepita per la sala da concerto non per il teatro. E’, al pari de “La Damnation de Faust”, una semi-opera fortemente calata nel romanticismo alla francese della prima metà del XIX secolo.
Parlando durante l’intervallo con un giovane collega scettico, mi è venuto in mente sostenere che per afferrarne lo spirito e comprenderne la chiave di lettura, era utile vedere il capolavoro di Marcel Carné “Les enfants du Paradis” e sapere qualcosa sulla maniera con cui l’attore-impresario Frédéric Lemaitre portò e adattò in Francia, nel Boulevard du Crime, le tragedie di Shakespeare. Ovviamente il mio interlocutore non sapeva nulla né di Carné, né di “Les enfants du Paradis” né di Lemaitre, però ha rilevato che il “Roméo” di Berlioz pareva adatto a una miniserie televisiva da programmazione Mediaset berlusconiana. Aveva capito – o pensava di avere capito – tutto. Inutile ricordargli che, come peraltro rammentato nel programma di sala, una sera Wagner, a letto e sul punto di addormentarsi, disse alla moglie Cosima di sentirsi in parte tributario di questa semi-opera del francese conosciuto come suo rivale.
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