martedì 14 aprile 2009

PER UN MERCATO FORTE SERVE UNO STATO FORTE FFwebnagazine del 14 aprile

Pochi hanno notato che il 9 aprile, Giovedì Santo, il Governo della Repubblica Federale Tedesca ha fatto il primo passo per dare attuazione alla norma approvata circa due mesi fa con cui si autorizza le autorità pubbliche a nazionalizzare (se del caso) banche ed istituti di credito: la Germania ha annunciato che acquisterà tutte le azioni sul mercato della Hypo Real Estate Holding – il principale istituto di mutui edilizi del Paese. Verranno rilevate, ad un prezzo definito dalla mano pubblica (dato l’elevato livello di titoli tossici nel portafoglio della Hypo) dalla Soffin, la finanziaria federale che opera come fondo di stabilizzazione. Sempre il 9 aprile, nella vicina Olanda,uno dei principali gruppo bancari dei Paesi Bassi, lo ING, ha annunciato che venderà, anche al settore pubblico, attività finanziaria per 6-8 miliardi di euro “mano mano che le condizioni lo permettono”.
Queste “news” si devono prestare non ad un fugace commento giornalistico ma ad dibattito approfondito tra economisti e esperti di scienze sociali in generale su come si profila il sistema economico di questa prima parte del XXI secolo ed in particolare sul ritorno dello Stato in economia, da protagonista, dopo trenta anni circa il cui il mercato è parso come lo strumento migliore per curare sia le proprie imperfezioni (in inglese si utilizza il termine più pregnante “failures” , “fallimenti”) e pure per frenare quelle del “non mercato”. Federico Caffè, maestro per decenni della principale scuola di economia politica dell’Università di Roma “La Sapienza”, scrisse un libretto di poche pagine (piene di sostanza) in difesa dello stato sociale propria prima di sparire misteriosamente. Il vostro “chroniqueur”, pubblicò, circa venti anni fa, un saggio in due puntate dopo la crisi delle borse dell’autunno del 1987 avvertendo che il crollo avrebbe dovuto fare riflettere sulla “finanziarizzazione” eccessiva del sistema economico, con elevatissime leve d’indebitamento, che aveva preceduto lo scivolone di Wall Street. Vi ha riflettuto individualmente: dal primo dicembre 2008, il suo portafoglio mobiliare ha subito una flessione di valorizzazione del 4,5% circa – un’inezia rispetto al 40% circa del maggior indice azionario mondiale (MSCI).
Il breve saggio di venti anni fa si basava molto sul pensiero economico di Hyman Minski, economista americano poco considerato in Italia poiché sia anti-marxista sia anti-liberista. In breve, la teoria economica di Minski riguarda l’informazione e come viene percepita da individui, famiglie, imprese ed operatori economici in generale: la miopia è una malattia diffusa . Ciò vuol dire che tendenze di brevissimo periodo del passato recente, vengono estrapolate nel futuro a lungo termine. Ne consegue un processo che posso schematizzare in tre stadi: a) nel primo , ci si indebita (pure per operare sul mercato finanziario nella convinzione che denaro si produce per mezzo di denaro) ; b) nel secondo, si tira la fune per far fronte almeno al pagamento degli interessi (non dell’ammortamento); c) nel terzo , si entra in una catena di Sant’Antonio (analoga a quella di chi prende in prestito il 125% del valore della casa o delle azioni che possiede nella convinzione di un apprezzamento, a breve, del 200%). Se dovessi rimettere mano oggi a quanto scritto venti anni fa, introdurrei un altro elemento: la miopia è strabica perché confonde rischio (stimabile sulla base del calcolo delle probabilità) con incertezza (non prevedibile cambiamento completo della situazione). Da finanziarizzazione si è passati ad una “strutturazione” oggi alla base di molti titoli tossici nell’ illusione che suddividendo il rischio in partite sempre più piccole (diversificandolo in coriandoli dalla dimensioni atomistiche) si è pensato ch lo si annullasse . Sino a quando ci si è ricordato che, in certe condizioni, gli atomi esplodono.
Con il senno di poi, si ammettono oggi i costi del capitalismo – si legga “The Costo of Capitalism : Understanding Mayhem and Stabilizing Our Economic Future” di n Robert Barbera appena pubblicato da McGraw –Hill, non certo un editore collaterale alla sinistra). Si è meno certi sulle terapie. Nel nostro DNA, c’è ancora il ricordo dello “Stato impiccione e pasticcione” , per prendere a prestito la brillante definizione data da Giuliano Amato in un libro sul governo dell’industria in Italia del lontano 1976.
Un mercato forte e ben funzionante richiede uno Stato forte e ben funzionante – capace, in primo luogo, di curare miopie e strabismi. Due anni fa , l’American Enterprise Institute e la Brookings Institution hanno pubblicato un lavoro a quattro mani di Robert Hahn e Paul Tetlock : è lo AEI-Brookings Joint Center Working Paper No. 07-08, scaricabile dal sito www.ssrn.com . Ha avuto un’eco modesta in Italia, ma indicava un percorso partendo da una migliore valutazione economica da parte della mano pubblica e, quindi, da una migliore formazione economica nel settore pubblico. Se non se ne prendono cura istituti pubblici di formazione, la sfida passa alle Università e- perché no?- alle Fondazioni.
Il dibattito aperto. Non solo su questo tassello.

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