CLT - Musica, cosa si nasconde nell’oratorio dimenticato di Beethoven
Musica, cosa si nasconde nell’oratorio dimenticato di Beethoven
Roma, 14 apr (Velino) - A poche settimane di distanza a Roma (dal 21 al 24 marzo nella sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica e il 9 e 10 aprile all’Auditorium di via della Conciliazione), le due maggiori orchestre sinfoniche della Capitale (quella dell’Accademia di Santa Cecilia e l’Orchestra Sinfonica della Fondazione Roma) hanno eseguito “Christus am Ölberge” (Cristo sul Monte degli Ulivi) oratorio per soli, coro e orchestra op.85 che Beethoven compose intorno al 1802-1803. Un lavoro eseguito pochissime volte nel corso di questi due secoli. Come riportato accuratamente nel programma di sala dell’Accademia, le precedenti esecuzioni a Santa Cecilia furono nel 1927 (Bernardino Molinari), nel 1970 e nel 1992 (entrambe di Wolfgang Sawallish). Esistono pure poche edizioni discografiche in commercio. Da suggerire, per chi riesce a trovarla, quella di Eugene Ormandy con la Philadelphia Orchestra del lontano 1966, rimasterizzata nel 1990 dalla Sony. Il monumentale lavoro di Piero Buscaroli su Beethoven (quasi mille pagine) quasi non tratta di questo oratorio, mentre il libro di Giovanni Carli Balolla gli dedica appena alcune pagine. Il lavoro venne eseguito alcune volte in Germania all’inizio dell’Ottocento e probabilmente anche in Italia in quanto era noto a Rossini e a Donizetti.
Cosa spiega il relativo oblio e cosa vi è alla base della “renaissance” di questi ultimi anni, dal momento che è tra le composizioni di Beethoven più eseguite Oltre Reno durante la Settimana Santa? In primo luogo, il debutto fu un mezzo disastro. Inserito tra la Seconda Sinfonia e il Concerto per piano in do minore, senza un numero adeguato di prove, l’oratorio fu accolto con freddezza dal pubblico e dalla critica. Inoltre, lo stesso Beethoven lo ripudiò come opera giovanile e frettolosa. In effetti, l’oratorio si situa nella fase in cui si stava acuendo la sua sordità e il compositore redigeva il suo, vero o presunto, “testamento”. L’accettazione della sofferenza si tinge di colori molto personali. Questa caratteristica autobiografica è più importante, a mio avviso, della sterile polemica dei rapporti di Beethoven con Dio: se il compositore fosse ateo, come sostengono alcuni, protestante, come dicono altri, o intimamente cattolico come indicherebbero sia questo oratorio che la Missa Solemnis.
Ascoltandolo nel 2009, ci rendiamo conto che “Christus am Ölberge” è, al tempo, affascinante e interessante. Ha un indubbio valore “sperimentale” datogli da Beethoven alla chiara ricerca di un nuovo modo di comporre un “dramma in musica” che prendesse spunto dalla tradizione oratoriale del ‘700, della quale Handel fu il massimo esponente, e arrivasse a una creazione molto simile a quella che sarà l’opera ottocentesca. Inoltre, la parte iniziale dell’oratorio anticipa l’introduzione e l’aria di Florestano del “Fidelio”: il mi bemolle minore introduce una concitata aria in do minore. Il finale, a sua volta, pare la tavolozza del quarto movimento della Nona sinfonia. Un’atmosfera tragica pervade tutta la composizione. Molto efficace è la parte del coro diviso in tre sezioni (Coro di Angeli, Coro di Soldati e Coro di Discepoli) ognuna delle quali si esprime con una propria caratteristica musicale. Spesso le parti si intersecano, soprattutto sul finire dell’oratorio quando Beethoven crea un colloquio serrato tra Soldati e Discepoli, con sonorità che lasciano ancora intravedere il futuro “Fidelio”. Anticipazioni che si possono notare anche nel terzetto tra Pietro, Gesù e Serafino dotato di contrasti di grande presa teatrale e drammatica.
Al Parco della Musica, l’oratorio è stato inserito in un concerto che prevedeva nella seconda parte la Seconda Sinfonia di Robert Schumann. Una scelta forse poco appropriata poiché il lavoro è un’opera intera anche se della durata di circa un’ora. La sua solennità e il suo dramma si avvertono meglio se eseguita da sola. Pinchas Steinberg ha diretto l’orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia in maniera corretta, ma senza lo slancio drammatico richiesto. La vastità della sala non ha giovato. Buone, ma non eccelse, le parti vocali erano state affidate al soprano Laura Claycomb, al tenore Scott Mac Allister e al basso Giorgio Surian. Il coro guidato da Norberth Balatsch ha messo efficacemente in risalto tutta la teatralità del lavoro.
L’Orchestra Sinfonica Fondazione Roma, invece, ha eseguito l’oratorio senza altre composizioni, dedicando l’esecuzione alle vittime del terremoto in Abruzzo e devolvendo gli incassi alla popolazione colpita. Nel più raccolto auditorium di via della Conciliazione, Francesco La Vecchia ha dato una lettura altamente drammatica che è stata ben avvertita da solisti e coro, oltre che dall’orchestra. Interessante raffrontare Scott Mac Allister nelle due esecuzioni: tecnicamente perfetto ma incolore al Parco della Musica, ha dato una lettura teatrale a via della Conciliazione sfoderando il suo timbro chiaro e i suoi acuti generosi (perfetto da Kaiser in “Die Frau ohne Schatten” di Strauss). Il giovane ma già notissimo Daniel Borowski surclassa Giorgio Surian, mentre Christine Buffle eccelle nelle tonalità gravi ma mostra qualche difficoltà negli acuti. Efficace il Nuovo Coro Lirico Sinfonico Romano diretto da Stefano Cucci.
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