La nazionalizzazione delle banche non è all’ordine del giorno della politica italiana: non solo lo hanno precisato il Presidente del Consiglio ed il Ministro dell’Economia e delle Finanze ma lo rivela a tutto tondo un lavoro recente del Fondo monetario- l’aggiornamento della propria banca dati sulle banche in crisi (IMF Working Paper n. 08/224). Il documento analizza 42 crisi sistemiche (quindi, non di singoli istituti ma di aree o settori) nel periodo 1970-2007. Dall’analisi dei dati (disponibili a tutti on line) si ricava che solamente nel mondo anglosassone e nei Paesi in transizione (troppo veloce) dal piano al mercato ci sono istituti che richiedono intervento pubblico in conto capitale; anche in casi che sembrano molto gravi, potrebbe essere sufficiente una garanzia od una forma di assicurazione. Potrebbe, però, diventare presto nell’agenda della politica europea (come preannunciato in alcune frasi, peraltro, poco avvedute di alcuni Commissari Ue e soprattutto dei loro portavoce).
Anche nel mondo anglosassone- il più colpito dalla crisi (come documentato dai saggi sulle fasi iniziali della credit crunch pubblicate nell’ultimo fascicolo di “The Journal of Economic Perspectives) – è, tuttavia, difficile dire se ci sono o meno le condizioni oggettive per i forti interventi di capitale pubblico nelle banche – e per quelli annunciati per le prossime settimane; ciò vale pure – lo rivela un’attenta ed acuta analisi del “New Century Financial” per l’HSBC (al centro del ciclone a metà a marzo) e per molti aspetti precursore di “quel subprime lending” che ha fatto esplodere la finanza strutturata”.
Douglas Elliot della Brookings Institution (uno dei maggiori centri di ricerca, analisi e riflessione della capitale Usa) lo documenta chiaramente in un documento (al momento in cui viene redatta questa nota) ancora non disponibile su supporto cartaceo. Elliot si riallaccia all’analisi di Nouriel Roubini (uno dei rari economisti Usa che già nel 2006 avvertirono che la tempesta stava avvicinandosi): se la situazione degli istituti – afferma – è quale presentata da Roubini, siamo, in numerosi casi, all’insolvenza e di conseguenza la nazionalizzazione (o strumento analogo) è la ricetta appropriata, ma i dati non sono così eloquenti. In molti casi, infatti, si è verosimilmente alle prese con una crisi di liquidità (magari anche di grandi dimensioni) ma non all’insolvenza. Lo si potrà dire con buona dose di certezza soltanto in autunno quando saranno stati archiviati i bilanci consuntivi 2008 (ancora, in gran misura, in corso preparazione) ed avremo a disposizione un paio di relazioni trimestrali del 2009. Anche ove allora (in settembre circa) i libri contabili rivelassero che poche (o molte) istituzioni fossero alle prese con un problema non di liquidità ma d’insolvibilità , si dovrebbe agire con cautela. Evitare di creare, un’altra volta, istituti analoghi alle Banche d’interesse nazionali (Bin) nate , in Italia, nella crisi degli Anni Trenta, ma utilizzare l’intervento pubblico per serie riorganizzazioni: nazionalizzazione dovrebbe essere sinonimo di ristrutturazione – utilizzando, se del caso, anche il veicolo delle “bad banks” per liberarsi di titoli privi di valore o di cui non è possibile accertare il valore. E’ ipotizzabile che dall’operazione, o dalle operazioni, sorgano istituti di credito di dimensioni più piccole dei “giganti” nati, spesso in seguito a fusioni, concentrazioni ed alte forme d’incorporazioni, negli ultimi due-tre lustri. Una lezione della crisi che pochi banchieri (ed ancor meno politici) hanno metabolizzato (ma che gli economisti cominciano a sussurrarsi tra di loro) è che le “magabanche “ sono troppo difficili da gestire (oltre che da vigilare). Nessuno pare avare il coraggio di dirlo forte a chiaro. Lo facciamo noi.
Altra lezione importante (e da metabolizzare) è a carattere squisitamente politico: le banche private – hanno scritto Javier Rodriguez e della Banca Bilbao Vizcaya Argentaria e Javier Santiso nel fascicolo di marzo 2008 della “International Political Science Review” – sono elemento fondante e della democrazia economica e della democrazia politica. Lo aveva già detto la Banca Mondiale in un preveggente volume del 1995: “Beaurocrats in Business- The Economnics of Government Ownership”. Dunque, facciamo attenzione prima di ventilare nazionalizzazioni. E doppia attenzione prima di metterle in atto.
Per saperne di più:
JAVIER RODRIGUEZ, Grupo Banco Bilbao Vizcaya Argentaria (BBV) JAVIER SANTISO, Organization for Economic Co-Operation and Development (OECD)
"Banking on Democracy: The Political Economy of International Private Bank Lending in Emerging Markets" in International Political Science Review, Vol. 29, No. 2, pp. 215-246, March 2008
LUC LAEVEN, International Monetary Fund (IMF), Centre for Economic Policy Research (CEPR)
FABIAN V. VALENCIA,International Monetary Fund (IMF) "Systemic Banking Crises: A New Database" IMF Working Paper No. 08/224
ALEXANDER F. TIEMAN,International Monetary Fund (IMF)
MARTIN CIHÁK, International Monetary Fund (IMF) "Quality of Financial Sector Regulation and Supervision Around the World" IMF Working Paper No. 08/190
MARTIN F. HELLWIG, Max Planck Institute for Research on Collective Goods, Department of Economics, University of Bonn"Systemic Risk in the Financial Sector: An Analysis of the Subprime-Mortgage Financial Crisis" MPI Collective Goods Preprint, No. 2008/43
DOUGLASS ELLIOTT . The Brookings Institution “Bank Nationalisation: What is it? Should we do it? www.brookings.ru
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