mercoledì 8 aprile 2009

PERCHE’ L’ACCORDO SULLE REGOLE CONTABILI NON RIGUARDA SOLO I COMMERCIALISTI L'Occidentale 8 aprile

A margine quasi della crisi (nel disinteresse della stampa quotidiana) , è stato concluso tra Ue e Usa un accordo sulle regole di contabilità per le scritture societarie che non interessa (come sembra implicare la stampa specialistica economica e finanziaria) solamente i ragionieri ed i commerciali. Ha, invece, come mostrerò in questa nota, importanti implicazioni di politica economica sia nel percorso per superare l’attuale crisi sia per il futuro dell’integrazione economica e finanziaria internazionale – o, almeno, di quella tra le due sponde dell’Atlantico.
L’accordo – è bene ricordarlo – è stato raggiunto non in seno al G20, ma nella riunione Usa-Ue a Praga e dopo che venisse concluso tra gli Stati Ue riunioni in seno all’Ecofin. Verosimilmente, gli inviati dei giornali a Praga erano euro-generalisti (data la vastità dei temi all’ordine del giorno) ed hanno dato attenzione ad altri argomenti (ad esempio, i preliminari del negoziato per l’accessione della Turchia all’Ue) piuttosto che ad un tema all’apparenza tecnico. D’altro canto, le analisi dell’accordo sulla stampa specialistica sono state affidate a penne specializzate in contabilità d’impresa (che hanno perso di vista le dimensioni di politica economica).
Cerchiamo di gettare un ponte, spiegando in primo luogo di cosa di tratta. Dopo lustri di negoziati è stato messo in piedi , alcuni anni fa, l’International accounting standard board (Iasb), un’authority internazionale (se dir si vuole) con sede a Londra il compito di uniformare le regole contabili del centinaio di Stati che hanno aderito al Board. Attenzione, l’Iasb cerca , da un lato, di codificare le regole ; da un altro, ove questo o quel punto dei proposti codici, non ottengono il consenso richiesto, di coordinare le regole nazionali in modo che non siano tali da creare distorsioni e disfunzioni.
Per decenni, le regole contabili europee (frutto in gran parte dei principi del diritto romano quali translati in quello napoleonico ed in quello tedesco) privilegiano le pandette scritti, mentre quelle anglosassoni in generale ed americane in particolare si fondano su una “lex mercatoria” fatta di prassi e di sentenze giurisdizionali. In materia contabile, gli Usa hanno sviluppato una propria filosofia articolata sulle “best practices”,le “migliori prassi sulle piazze”. L’americano “Financial accounting standard board” (Fastb) è l’omologo dell’Iasb ed ha anche la funzione di uniformare le “best practices” tra gli Stati dell’Unione.
Un punto di differenza tra Iasb e Fasb è stato per anni come valorizzare titoli (iscritti nei bilanci di imprese di ogni genere, tra cui, ovviamente, gli intermediari finanziari) acquistati in passato. I punti cruciali sono esplosi nella crisi degli ultimi mesi: il Fasb ha suggerito di determinare il “fair value” non sulla base di un ipotetico valore di mercato (spesso si tratta di titoli che non danno luogo a compravendite – quindi, “inattivi”) ma ad un valore più alto di quello di un mercato “chiaramente depresso”; inoltre il Fasb propone, in merito alle perdite di valorizzazioni differenti da quelle temporanee, le scritture di bilancio dovranno considerare non tanto la capacità e la volontà di detenere lo strumento sino al recupero del costo d’acquisto, quanto l’intenzione di vendere. Non è questa la sede per entrare negli aspetti tecnico-contabili. E’ importante invece sottolineare come l’attuale crisi sia stata la molla per fare sé che l’Iasb abbia deciso di recepire gli indirizzi Fasb. A mio parere, né questi indirizzi né le codificazioni Iasb sono perfette – in contabilità ciò che fa premio sono le “convenzioni condivise” non la perfezione (che comunque non è del mondo delle scritture contabili). Ciò che conta è che si è finalmente giunti ad una “convenzione condivisa”, quindi a simmetria e trasparenza, per valutare parametri essenziali (in questa crisi e non solo).
Prendiamone uno, davvero fondamentale: l’indebitamento della “cicala americana”. Secondo il libro, appena pubblicato, del mio amico Peter L. Bernstein (“Economics and the Portafolio Strategy”), dal 1958 al 2008, lo stock di debito delle famiglie americane (utilizzando il metodo Fasb) è passato dal 30% circa al 97% del pil (a fine 2007 aveva toccato il 98% del pil; la crisi ha reso le famiglie più parsimoniose) e quello delle istituzioni finanziarie nei confronti delle autorità monetarie dal 2% al 121 del pil, mentre l’indebitamento delle pubbliche amministrazioni (municipi, contee, Stati e Governo federale) è passato dal 44% al 17% di tutto l’indebitamente (pubblico e privato) degli Stati Uniti. Inoltre, mentre nel 1958 il 75% dell’indebitamento del settore finanziario era nei confronti di banche, di istituti di credito e di casse di risparmio, adesso tale proporzione è appena il 18%- l’82% è con “veicoli speciali” che sfuggono alla regolazione e vigilanza federale (e spesso pure statuale) . A regole contabili uniformi appare chiaro che a) il riaggiustamento deve essere effettuato essenzialmente all’interno degli Usa; b) le autorità americane devono trovare metodi per agire sui comportamenti di famiglie ed imprese. Il nodo vero.

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