venerdì 10 aprile 2009

“SEYMON KOKTO” O DI QUANDO PROKOFIEV FACEVA IL SOVIETICO Il Domenicale 11 aprile

Quando l’intellighentsia italiana era marxista nelle sue varie forme e guise, nessuno osò eseguire, ed ancor meno mettere in scena, alcuni dei lavori composti da Serghey Prokofiev quando rientrato in patria dopo 17 anni in occidente, doveva “disperatamente” produrre qualcosa che fosse effettivamente riconosciuto come “sovietico”. Si era alla fine degli Anni Trenta (nel bel mezzo delle purghe staliniane, che prendevano particolarmente di mira artisti ed intellettuali). Il bizzarro e capriccio futurista e dadaista si mise alla ricerca di temi che sarebbero potuti essere in linea con i dettami del partito). Aveva già dato un assaggio quando aveva iniziato il suo lento e graduale ritorno in Russia, con la musica per il film Il Luogotenente Kijé , tratto da una novella di Yuri Nicolai Tinianov e diretto da Alexandr Fienzimmer. Il lavoro è una sferzante satira della burocrazia prussiana (ma potrebbe inteso come presa in giro di qualsiasi burocrazia in qualsivoglia Paese e regime) da cui Prokofiev trasse una brillante “suite” , raramente eseguita in Italia ma che quest’anno si è ascoltata in gennaio al Parco della Musica (con i complessi dell’Accademia di Santa Cecilia diretti da Yuri Temirkanov) ed in marzo al Bologna Festival (con l’Orchestra Mozart guidata da Claudio Abbado) – due esecuzioni, quindi, di grandissimo livello.
La vera opera “sovietica” di Prokofiev , concepita alla fine degli Anni Trenta e messa in scena a Mosca nel giugno 1940 (pochi mesi prima il “committente”, Vsevolod Meyerhold, direttore nel 1939 del Teatro dell’Opera di Stato Stanivlasky della capitale sovietica era stato fatto passare per le armi, dopo un processo-farsa, da Stalin) è”Seymon Kokto” che arriva in “prima” italiana al Teatro Lirico di Cagliari, una delle poche fondazioni che non è guidata da un Sovrintendente contiguo al centro-sinistra. Il lavoro è tratto da un romanzo ( Io, figlio del popolo lavoratore) di Valentin Kataiev. In sintesi, negli ultimi mesi della prima guerra mondiale, il proletario soldato Kokto torna nel suo villaggio ucraino, dove i possidenti kulaki tramano contro “i rossi” (collaborando, più o meno apertamente, con i tedeschi). Kokto è innamorato della bella Sophia (figlia di un kulako) che lo ricambia. Il villaggio viene invaso da tedeschi (pur in ritirata) che fanno stragi di contadini; il padre della fidanzata del buon Kokto diventa immediatamente un collaborazionista. Il ragazzo scappa in montagna per tornare, con i partigiani, proprio mentre Sophia sta per essere data in moglie (contro-voglia) ad un proprietario terriero. Sconfiggono tedeschi e collaborazionisti. Ed il lavoro si conclude con inni patriottici.
Nonostante tale intreccio, l’opera ebbe difficoltà ad essere rappresentata: non solo Meyerhold finì nelle grinfie del terrore stalinista, ma quando erano in corso le prove di scena, giunse notizia del patto Molotov-Ribbentrop – sarebbe stato “sconveniente” mostrare i tedeschi non solo “cattivi” ma anche “trudici” e “sadici”. Si penso, quindi, ad una riscrittura del libretto sostituendo i tedeschi con russi bianchi. L’alleanza russo-tedesca fu di breve durata. Il lavoro poté arrivare sul palcoscenico come pensato e composto.
Cosa dire dei suoi meriti artistici? Curiosamente, esso è ancora abbastanza popolare nella Russia de-stalinizzata e de-sovietizzata. Uno dei maggiori compositori russi Sviatoslav Richter lo pone sul sentiero tracciato da Mussorgski: grande opera storico-popolare. Pure musicologhi ben saldati nella tradizione del Novecento storico occidentale – ad esempio, Andrew Huth – affermano che la “potente scrittura orchestrale e vocale” di Prokofiev riscatta il libretto. Uno dei maggiori esperti italiani del compositore, Piero Rattalino, esprime perplessità. Conosco l’opera tramite la registrazione Philips di un’esecuzione dei complessi del Mariinski di San Pietroburgo guidati da Valery Gergiev. Condivido i dubbi di Rattalino . Tuttavia, un dramma di tale carica eroico-nazional-popolare deve essere giudicato soltanto dopo averlo visto sulla scena. Come potremo fare a Cagliari.

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