mercoledì 15 aprile 2009

LA RICOSTRUZIONE DOPO IL TERREMOTO DEVE PASSARE PER IL PROGRESSO , L'Occidentale 15 aprile

Gli economisti hanno esibito un assordante silenzio sia sulle misure che avrebbero potuto contenere i danni del terremoto sia su quelle per impostare la ricostruzione. Unica voce quella di Francesco Forte su L’Occidentale che ha stimato in almeno un punto di pil i danni causati dal sisma.
Eppure ogni anno, al mondo, 60.000 persone perdono la vita in seguito a disastri naturali (terremoti, maremoti, smottamenti, frane) che – è questo il punto centrale- non si sarebbero potuti prevedere facendo ricorso a strumenti consueti dell’analisi di rischio (quali il calcolo delle probabilità)ma i cui effetti si sarebbero potuti contenere facendo ricorso a standard tecnici ben conosciuti e rodati. Le dimensioni sono tali che hanno interessato soprattutto coloro che studiano “politica economica positiva” (ossia come funzionano i soggetti economici- individui, famiglie ed imprese- e come decodificano i segnali loro inviati ed ad essi reagiscono). In Italia, da alcuni decenni, università e centri di ricerca danno priorità allo studio della “politica economica normativa” (ossia dati obiettivi e vincoli quale è il percorso migliore da seguire).
In altri Paesi, l’economia dei disastri naturali è una disciplina a sè stante. Distinguo due fasi . La prima – il lavoro più importante è quello di Douglas C., and Howard Kunreuther The Economics of Natural Disasters: Implications for Federal Policy, New York, NY. The Free Press, 1969- fornisce, al tempo stesso, una teoria economica del problema e veri e propri manuali di politica economica sulla tipologia di fenomeni in cui si determina come, in certe circostanze, strumenti convenzionali come il calcolo delle probabilità possono essere utilizzati per forgiare politiche (tali da incidere sui comportamenti) in cui il rischio è modesto ma, in caso di sinistro, i danni sono vastissimi. A questo tipo di analisi si è fatto ricorso pure in Italia nel valutare nel 1987 le alternative tecniche al completamento della centrale elettrica di Montalto di Castro, se termonucleare o policombustibile. Lo spartiacque si è verificato alla metà degli anni Novanta con la pubblicazione di Avinash Dixit e Robert Pyndick Investment under Uncertainty (Princeto, Princeton University Press, 1994) e l’elaborazione della “teoria delle opzioni reali” applicata all’analisi di politiche e di progetti d’investimenti. E’ utile, però ricordare che alcuni anni prima, proprio in un saggio sull’economia dei disastri naturali - Davidson, Paul, (1991) "Is Probability Theory Relevant for Uncertainty?: A Post Keynesian perspective", Journal of Post Keynesian Economics, 13 (1): pp.129-43 – l’approccio dominante, pure nella versione seguita per l’analisi relativa a Montalto di Castro- era stato messo in discussione.

Che io sappia, il prodotto più completo della seconda fase è la rassegna della letteratura condotta alcuni anni fa da Yasushide Okuyama (Economics of Natural Disasters: A Critical Review “ University of West Virginia- Research Paper 2003- 12 del Regional Research Institute dell’University of West Virginia , un’università meno apprezzata di quanto merita e molto attenta a queste tematiche anche a ragione della configurazione morfologica dello Stato in cui è localizzata). Il lavoro di Okuyama coniuga in modo intelligente gli sviluppi della teoria dell’incertezza con la modellistica econometrica di equilibrio economico generale per tenere conto come cambiano i comportamenti (di individui, famiglie, imprese e pubbliche amministrazione) nelle situazioni “prima” e “dopo” il disastro (oltre che negli scenari “con” e “senza” la possibilità di disastro) anche in mancanza di strumenti quantitativi per calcolarne la probabilità, l’intensità e la localizzazione.

Sino a qui alcuni riferimenti allo sviluppo della disciplina. Quali le implicazioni? Lo scorso marzo , ossia poche settimane prima del terremoto in Abruzzo, la Banca mondiale ha pubblicato un lavoro in materia -"Why Do People Die in Earthquakes ? The Costs, Benefits and Institutions of Disaster Risk Reduction in Developing Countries" World Bank Policy Research Working Paper No. 4823 di Charles Kenny, ckenny@worlbank.org , i lettori interessati possono richiederlo, a mio nome , su supporto magnetico. L’analisi ha come tema centrale perché non vengono applicate le soluzioni ingegneristiche che, pur non eliminando l’incertezza che circonda fenomeni di questa natura, ne minimizza gli effetti mortali. La risposta è di rilevanza alla situazione : la regolamentazione ha un impatto limitato non solo a ragione della corruzione che spesso si annida tra i “controllori” ma anche a causa dell’accavallarsi di norme che rendono difficile le interpretazioni attuative ed il monitoraggio. Sotto il profilo più strettamente teorico, la rassegna di Okuyama (di facile lettura anche in quanto utilizza unicamente la strumentazione matematica essenziale) avverte che in un contesto dominato dall’incertezza (invece che dal rischio) la regolamentazione tende comunque ad essere di più difficile lettura. Dunque, per contenere i danni poche e semplici regole (con sanzioni pesantissime per chi ad esse sfugge).

E’ per la ricostruzione? Nel lungo periodo il progresso tecnologico è il motore della crescita e dello sviluppo; in un processo di ricostruzione dopo un disastro naturale, il progresso esogeno si intercala con quello endogeno (che ci sarebbe comunque stato) . Quindi, occorre porre l’accento sull’innovazione adattiva (per “adattare” tecnologie più avanzate a quelle esistenti prima del fenomeno e che si sarebbero comunque evolute). I tempi dipendono dai risparmi aggiuntivi che si riescono a mobilizzare ed allocare ai programma di ricostruzione. L’Italia – è noto – ha un tasso di risparmio privato relativamente elevato; ciò è un buon auspicio.

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