giovedì 9 aprile 2009

IL CINEMA E’ NON E’ UN ARTE? Il Tempo 10 aprile

Il cinema è non è un’arte? Questa domanda è preliminare a quella che se debba fruire di finanziamenti pubblici come le altre arti. In generale, l’argomento per il supporto pubblico alle arti sceniche è “il morbo di Baumol”, dal nome dell’economista che ne formulò il relativo teorema all’inizio degli Anni 60: in un contesto di rapido progresso tecnologico, le arti sceniche rischiano di non essere più competitive sino a sparire senza aiuti della collettività poiché (dato per eseguire un’opera od una sinfonia ci vogliono gli stessi esecutori necessari all’epoca di Wagner e Beethoven) verrebbero strangolate dall’aumento relativo dei costi. Alla domanda ha risposto efficacemente il filosofo dell’estetica Rudolf Harnheim in un saggio (tradotto in italiano solo nel 1957): “il cinema assomiglia alla pittura, alla musica, alla letteratura ed alla danza in quanto è un mezzo che può , ma non deve necessariamente, essere usato per raggiungere risultanti artistici”. Harnheim definisce con cura le caratteristiche che fanno sì che l’”illusione parziale” (fornita dal cinema) possa essere considerata espressione artistica. Dalle definizioni di un teorico di estetica alle loro applicazioni pratiche, il passo non è facile. Ciò è alla base delle polemiche che spesso hanno accompagnato , in passato, i giudizi di commissioni di “esperti” che hanno concesso finanziamenti pubblici a fondo perduto a film che non solo non hanno retto che pochi giorni al confronto con le sale ma che gli stessi critici cinematografici hanno ritenuto discutibili , ed a volte anche di pessima fattura sotto il profilo strettamente tecnico.
Il Governo ed il Parlamento in carica hanno risolto il problema tagliando la testa al toro: abolendo i contributi diretti a questo o quel film e sostituendoli con un credito d’imposta (con un massimale triennale di quanto può essere fruito dalla stessa impresa). E’ la soluzione ottimale? Da un lato è quella adottata ormai da gran parte dei Paesi dell’Ue; da un altro, elimina la discrezionalità dei “valutatori”; da un altro ancora, tiene conto della valutazione data dal mercato e da chi è pronto a rischiare i propri fondi in una produzione.

Nessun commento: