Che l’Abruzzo abbia la carta vincente per una ricostruzione efficiente ed efficace, lo dice a tutto tondo un lavoro analitico di Daniel Aldrich della Purdue University nel lontano Indiana (Stato degli Usa distante e distinto dalle nostre beghe). "Social, Not Physical, Infrastructure: The Critical Role of Civil Society in Disaster Recovery". Nei giorni delle feste di Pasqua, Aldrich ha inviato, per osservazioni, ai suoi amici e colleghi lo studio in cui passa in rassegna i programmi di ricostruzione dopo terremoti individuando in quello di Tokio nel 1923 il programma che ha avuto esiti migliori sia nel breve sia nel lungo periodo. Con un elaborato procedimento statistico, Aldrich individua nel “capitale sociale” (ossia nello spirito associativo e cooperativo che massimizza sinergie di ”capitale umano”) la determinante principale del successo e sottolinea “il ruolo di una società civile forte in aree di rilievo critico per le politiche pubbliche”.
Già un quarto di secolo fa, Robert Putman (Preside di Scienze Politiche a Harvard) aveva individuato (nel suo studio sul funzionamento delle istituzioni ,“Making Democracy Work”, Princeton University Press, 1993) l’Abruzzo come una delle due Regioni di quello che allora era il Mezzogiorno con il maggiore potenziale di “capitale sociale” (l’altra era la Puglia). Attenzione i dati di Putman raffrontano due periodi (il 1860-1920 ed il 1978-1985) per individuare quanto fosse radicato tale “capitale sociale”. Nell’ultimo quarto di secolo, la situazione è nettamente migliorata, come documentato nei Rapporti Annuali del Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione del Ministero dello Sviluppo Economico. Nel periodo 2000-2006 (per il quale esistono dati consuntivi e valutazioni condivise dall’Ue), la Regione Abruzzo ha costantemente meritato la “premialità” (ossia la dotazioni aggiuntiva di risorse comunitarie per “premiare” i comportamenti virtuosi ed i risultati nell’impiego di fondi europei. In tal modo è uscita dal gruppo delle Regioni chiamate, in gergo comunitario, “obiettivo 1” (ossia “in ritardo di sviluppo”).
Il “capitale sociale” non è,da solo, sufficiente ad assicurare il rilancio. Lo documenta analiticamente la più completa rassegna della letteratura economica in materia di disastri naturali: Economics of Natural Disasters: A Critical Review “ di Yasushide Okuyama . Nel lungo periodo il progresso tecnologico è il motore dello sviluppo; in un processo di ricostruzione, il progresso esogeno si intercala con quello endogeno (che ci sarebbe comunque stato) . Quindi, occorre porre l’accento sul supporto non solo all’infrastruttura ma anche all’innovazione adattiva (per “adattare” tecnologie più avanzate a quelle esistenti che si sarebbero comunque evolute). I tempi dipendono dai risparmi aggiuntivi che si riescono ad allocare ai programma di ricostruzione. L’Italia – è noto – ha un tasso di risparmio privato relativamente elevato; ciò è un buon auspicio.
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