“E’ Festa grande a Palazzo Farnese”, dice il Sacrestano nel primo atto di “Tosca”. Con una “festa grande” proprio a Palazzo Farnese si è inaugurato la sera del 5 giugno il Festival Suona Francese organizzato da Nuova Consonanza. Si estende sino al 17 giugno (i concerti successivi a quello inaugurale si svolgono al Teatro Palladio). Tra i tanti aspetti interessanti della manifestazione ci sono le prime esecuzioni si ascolteranno prime italiane di lavori di autori italiani (anche se di scuola francese) della contemporaneità più ardita come “Les machines spirituelles” di Valerio Murat e “Aqua Sapienza/Angelus Domini” di Alessandro Cipriani, due giovani compositori italiani ambedue di scuola francese e specializzati in elettroacustica.. Il brano di Murat è un elogio a Marinetti ed al mito futuristico della velocità e della sintesi tra arte future, mentre quello di Cipriani realizza un contrappunto virtuale segmentando e spazializzando frammenti di canti gregoriani spezzettati e ri-composti. Un’occasione davvero unica per toccare con mano il percorso della musica dello spirito quasi dagli inizi ai giorni nostri.
Per mera coincidenza il 14 giugno si tiene a Roma un concerto di grande rilieno nell’ambito di una delle manifestazioni tradizionali più importanti di musica dello spiriti: il Festival Creator , giunto alla quarta edizione. Presso S.Maria di Chiesa Nuova, viene eseguito un Oratorio dedicato a Giovanni Pierluigi da Palestrina, costruito secondo la forma originale degli oratori di San Filino Neri in cui canto, preghiera e parola si fondevano intorno ad un tema particolare. L’Oratorio è incentrato sulla figura di Palestrina ed è basato su alcune delle pagine più suggestive della produzione palestriniana. Questa edizione del Festival Creator 2008 è iniziato a Faenza a metà marzo con la messa in scena, per la prima volta in tempi moderni, de “Il Re del dolore in Gesù Cristo Signor nostro coronato di spine”di Antonio Caldara. L’oratorio (del 1722) è un vero e proprio esempio di teatro in musica quaresimale, poiché è altamente drammatico e richiede solisti, coro ed orchestra di medio organico Per l’occasione è stato recuperato un fondale storico, di Romolo Liverani , lo scenografo romagnolo più importante dell'epoca romantica. L’esecuzione, curata dall’Accademia Bizantina guidata da Ottavio Dantone, ha avuto notevole successo ed è stata replicata, pochi giorni dopo a Cracovia. Significativo pure l’accostamento tra visivo e musica sacra russa: una mostra di 80 icone russe ha fatto da sfondo ad un concerto, per coro, di brani della ricca tradizione bizantino-slava, accentuando il simbolismo della musica religiosa dell’Europa Orientale. Altro appuntamento di rilievo una serie di percorsi di musica sacra per chitarra (dalle laudi medioevali, alle corali luturane alle finissime armonizzazioni catalane e venezuelane).
Sempre il 5 giugno infine, ha avuto luogo, a Firenze, la prima italiana di Phaedra di Hans Werner Henze che a 82 anni sta vivendo una seconda giovinezza. Prodotta per Berlino , prontamente ripresa a Bruxelles, Phaedra, in due atti, si ispira al mito greco noto soprattutto tramite tragedie antiche di Euripide e di Seneca e moderne di Racine e D’Annunzio, Nell’opera di Henze, la tragedia dell’amore peccaminoso della regina per il figliastro è coniugata con una sua continuazione in Italia mutuata da alcuni testi latini (Virgilio, Ovidio, il commento di Servio a Virgilio) e dall’indagine di J. Frazer nel Ramo d’oro. I personaggi hanno caratteri molto differenti da quelli della tradizione letteraria, c’è poca azione in scena, il racconto delle vicende è affidato a potenti monologhi a una voce e anche a più voci quando immaginazioni e volontà dei personaggi si incontrano e si confondano. Tutto in Phaedra è costruito sulla coniugazione d’opposti, su di un'aurea dualità che conferisce all’opera la serena nobiltà delle costruzioni classiche. La duplice natura è esplicitata già nella definizione: «Konzertoper», concerto e opera. I due atti hanno pari durata (ciascuno circa 45 minuti), ma sono contrapposti per colore musicale: il primo è di compostezza apollinea, il secondo è invece dionisiaco. Un organico ridotto a 23 strumentisti per una trentina di strumenti e cinque cantanti-interpreti. Attraverso la scrittura musicale e vocale, prima ancora che per il soggetto, Henze sembra dare un significato all'utopia della propria esistenza. Ancora una volta, quindi, del “sacro” contemporaneo.
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