venerdì 27 giugno 2008

SE LA PSICOSI DELL'INFLAZIONE SI AUTOALIMENTA,. Libero del 28 giugno

Il dibattito in corso in Italia sul tasso programmato d’inflazione non è un fenomeno isolato oppure tipico del nostro Paese. In Germania, ad esempio, i sindacati della Lufthansa hanno chiesto un aumento salariale del 9,8% (per i tre anni di durata dell’accordo) motivandolo con le prospettive di un aumento dell’inflazione. In Gran Bretagna, 600.000 dipendenti d’enti locali (contee, comuni) sono scesi in sciopero per ragioni analoghe. Non è unicamente sul fronte dei prezzi dei fattori di produzione (come il lavoro) ma anche su quello dei prezzi dei prodotti e dei servizi: la Dow Chemical ha appena ritoccato, all’insù, i listini e lo ha motivato con il balzo del greggio; le compagnie aeree hanno imposto addizionali ai prezzi dei biglietti. E via discorrendo.
La corsa al petrolio, alle derrate ed a varie materie prime (i cui indici sono aumentati dl 94%, del 62% e del 32% negli ultimi 12 mesi) sono le mosche cocchiere di una nuova andata d’inflazione analoga a quella degli Anni Settanta (che arrivo a tassi d’aumenti generalizzati dei prezzi a due cifre)? Oppure sono il frutto di vampate speculative destinate a rientrare? Ho parlato con colleghi dei servizi studi della Federal Reserve e della Bce. Prevale la seconda ipotesi. Tuttavia, dagli Anni Settanta ad ora la disciplina economica è cresciuta e si è arricchita di nuovi rami e di nuovi filoni d’analisi. Mentre negli Anni Settanta (ed in Italia anche nella prima parte degli Anni Ottanta), un’ipotesi era che le indicizzazioni autoalimentassero l’inflazione (questo era il succo, ad esempio, del pensiero di Ezio Tarantelli ed è stato la base dell’Accordo di San Valentino e del decreto legge sulla sterilizzazione di alcuni punti di contingenza), oggi la molla che auto-alimenta gli aumenti dei prezzi e trasforma la speculazione su alcune merci e servizi in inflazione generalizzata è argomento di analisi di un nuovo ramo della disciplina: la “neuro-economia”. E’ un ramo discusso- è stato ad esempio molto criticato da Ariel Rubistein al congresso scientifico della Società Internazionale d’Econometria nel 2005 – ma che sta guadagnando sia terreno sia reputazione. Ne fornisce una valutazione equilibrata Douglas Bernheim dell’Università di Stanford nel saggio "Neuroeconomics: A Sober (But Hopeful) Appraisal" pubblicato a metà giugno come NBER Working Paper No. W13954. Il ramo coniuga la psicologia (che studia pensieri e percezioni) con l’economia che invece ipotizza razionalità di comportamento (quale la minimizzazione dei costi per raggiungere obiettivi). Analizza emozioni (quali la speranza e la paura) al fine di individuare le motivazioni alla base dei comportamenti effettivi. Fa perno più sugli esperimenti che sulla teoria pura; Daniel Kahneman ha ottenuto il Premio Nobel per l’Economia, proprio per il suo lavoro sperimentale in questo campo. In materia di finanza e di relazioni industriali, specialmente importante la “neuroeconomia della fiducia”, argomento di studio di Paul Zak del Centro per gli studi di neuroeconomia della Claremont Graduate University in California a cui si può scrivere (paul.zak@cgu.edu) per avere copia (su supporto elettronico) dei suoi ultimi lavori.
Non si parla di “neuroeconomia” unicamente nei cenacoli universitari e nei servizi studi delle autorità monetarie. Pur evitando di menzionare il vocabolo (ha un sapore troppo accademico), ne discutono, in interveste alla stampa britannica ed americana, Julian Callow, capo economista di Barclays Capital e Jacques Callioux della Royal Bank of Scotland per spiegare i dilemmi che confrontano oggi Governi, banche centrali, Governi ed associazioni di datori di lavoro. Il nodo sottolineano è come bloccare la trasmissione dei balzi di alcuni prezzi al resto dell’economia. Gli strumenti della “neuroeconomia” forniscono ricette migliori e più articolate di quelle della fine degli Anni Settanta (quando negli Usa si utilizzarono durissimi freni monetari, scatenando una minirecessione) e della prima parte degli Anni Ottanta (quando in Europa si punto sul tasso d’inflazione programmata per disinnescare il canale di trasmissione fornito dall’indicizzazione).
La “neureconomia” ha lavorato principalmente su argomenti micro-economici, dato il proprio carattere sperimentale, e non ha trattato specificatamente di quelli macro-economici, e, dunque, ancor meno di quelli della politica di bilancio e della moneta. Ci sono, però, alcune indicazioni indirette che possono essere utili a chi ha responsabilità di politica economica ed alle parti sociali. Uno studio delle Università di Tuebigen e del DWI di Berlino analizza come nell’età dell’incertezza e della neurosi inflazionistica da incertezza, il motore principale dell’iscrizione ad un sindacato è l’”avversione al rischio”. Tale “avversione al rischio”, secondo il lavoro, suggerisce anche moderazione salariale e priorità alla creazione d’occupazione (per chi non la ha e la cerca). Nell’ultimo fascicolo di “Intereconomics, Review of European Economic Policy” un altro studio d’origine tedesca sottolinea come la “flexicurity” (flessibilità del mercato del lavoro coniugata con elevati ammortizzatori sociali , specialmente per la riqualificazione) possa apportare un contributo positivo a disinnescare la trasmissione e il gonfiamento delle psicosi inflazionistiche. Queste indicazioni sono rafforzate da un’analisi comparativa dei Paesi Ue dal 2000 al 2005 – condotta dall’Università di Bologna ma pubblicata in Germania (IZA Discussion Paper No. 3502 ) da cui si evince che i più alti tassi d’occupazione e la maggiore moderazione salariale sono, di norma, associati con maggiori spese in politiche del lavoro, specialmente in politiche attive del lavoro, e minori rigidità.

1 commento:

Leonardo (IHC) ha detto...

Sono filoni di studio interessanti; conosco alcune cose di Kahneman e danno molta ragione anche a soluzioni statistiche (come i modelli ARMA) che altrimenti sembrerebbero solo forzature.

Ma un tempo non si chiamava Behavioural Economics?

Comunque, non è che la BCE, tanto per dirne una, stia semplicemente lottando contro second round effect, e in questo senso ha tutta ragione di impostare una politica restrittiva? Lo chiedo perché a volte si vuol remare verso tagli dei tassi sulla scorta del fatto che oggi si ha, dicono, una inflazione da costi.

Leonardo
www.ideashaveconsequences.org