martedì 3 giugno 2008

MANON LESCAUT, Operaclick 29 maggio

Catania/Massimo Bellini
MANON LESCAAUT
Dramma lirico in quattro atti di Giuseppe Giocosa, Luigi Illica, Domenico Oliva, Ruggero Loncavallo, Marco Praga, Giacomo Puccini e Giulio Ricordi
Musica di Giacomo Puccini
Manon Lescaut, primo importante successo di Giacomo Puccini . Come sottolineato nella recensione apparsa nel giugno 2007 su Operaclick in occasione di una messa in scena a Roma, il dramma lirico in quattro atti chiude l’epoca in cui dominava il melodramma verdiano ed anticipa il Novecento “storico” Manon Lescaut è opera analizzata per oltre un secolo da musicologi ed amata dal pubblico di tutti i Continenti (ne vidi un’edizione in Corea negli Anni 70 e mi sono stati raccontati allestimenti in un cinema-teatro in Africa a sud del Sahara).
E’ errato (come ancora fanno molti registi) considerarla, sotto il profilo drammaturgico, un’interpretazione più fedele del romanzo L’Histoire du Chevalier Des Grieux et de Manon Lescaut dell’Abbate Antoine- François Prévost di quanto non siano altre Manon (quali quelle di Halévi, Aubert, e Massenet). Il romanzo, in gran misura, autobiografico è imperniato sul protagonista maschile che Prévost non esita a mostrare come un gaglioffo tormentato, ma corrotto (oltre che corruttore) e sgradevole. Nulla di simile al tenero giovincello innamorato di Jules Massenet o allo studente sensuale e passionale di Puccini. In effetti, occorre aspettare il 1950 (o giù di lì) perché con il Boulevard Solitude di Hans Werner Henze si ritrovino – trasportati nella Francia della prostituzione e della droga degli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale – i personaggi ed il clima di Prévost, pur se, sulla scena, non ci sono riferimenti ai più espliciti aspetti sessuali del romanzo settecentesco. Del lavoro di Henze è in circolazione un magnifico DvD che si suggerisce di vedere ed ascoltare per apprezzarne la differenza da altre versione scenico-musicali del romanzo.
Con una qualifica: come molti scrittori libertini (tra cui lo stesso Marchese De Sade), l’Abbate ha non solo un vero senso di colpa ma anche intenzioni moralistiche (ambedue distinte e distanti dall’opera di Henze, come, peraltro, da quelle di Puccini, Massenet, Auber e Halévi) tanto che eros e sesso non venivano vissuti in modo gioioso. Puccini ( e la vera e propria squadra di librettisti che lavorarono con lui) leggono l’intreccio come una vicenda di eros e di passione. Qui l’importante novità: la passione aveva un posto privilegiato nel melodramma verdiano (si pensi al duetto carnale del secondo atto di Un ballo in maschera), ma per gran parte dell’Ottocento, l’eros era di fatto bandito dal teatro in musica italiano. Nel melodramma era giunto a conclusione con La Favorite di Gaetano Donizetti, nell’opera comica con Le Conte Ory di Giaocchino Rossini. Con Manot Lescaut torna prepotentemente in scena , proprio in quella Torino che non più capitale del Regno era alla ricerca della propria identità ed aveva, tutto sommato, un’anima bigotta.
In secondo luogo, l’eros è nella scrittura orchestrale e soprattutto vocale. Come in La Favorite il personaggio maggiormente avvinto dall’eros è il protagonista maschile, per il quale Puccini introduce una vocalità nuova: respinge virtuosismi e dolcezza, sceglie una linea sobria, puntando tutto la zona centrale dove il canto raggiunge la maggior intensità sensuale. Nell’Ottocento, questa era stata una caratteristica di alcuni tenori wagneriani (Siegfried nell’opera eponima, Walter von Stolzing ne I maestri cantori) . Con il Des Grieux di Manon Lescaut si apre la strada, in Italia, ai personaggi costruiti sulla sensualità virile – si pensi a quelli concepiti per Enrico Caruso. Più sfumato l’eros della protagonista che, per esplodere, necessita del grande duetto del secondo atto. La parte è scritta per un soprano lirico puro e tale è stata interpretata sino agli Anni 60 (si pensi a come il ruolo veniva cantato da Clara Putrella e da Virginia Zeani); nel 1984, Giuseppe Sinopoli scelte un soprano lirico puro (Mirella Freni) per un’importante edizione discografica. In tempi più recenti, in gran misura in seguito all’interpretazione di Maria Callas della caloratura da lei data all’aria del secondo atto (In quelle trine morbide), oltre che dal colore bruno da lei dato al duetto sempre del secondo atto (Tu , amore? Tu?) e al finale “Sola, perduta, abbandonata), si è favorita una tinta a volte più scura, sino al soprano drammatico di agilità – è stato per lustri il ruolo preferito da Renata Scotto al Metropolitan. Ancorato in gran misurata al baritono verdiano è Lescaut. E tale il basso brillante Geronte de Ravoir.
In terzo luogo, la funzione dell’orchestrazione. In Manon Lescaut , l’orchestra non è essenzialmente di supporto al canto (ed all’azione scenica) come nel melodramma verdiano. Ha assorbito, in parte, la lezione wagneriana del sisfonismo continuo nel golfo mistico. Quindi, l’organico si è ampliato ed arricchito e ci sono momenti (l’intermezzo) in cui la musica a programma, ossia il poema sinfonico, vengono inclusi nel gioco scenico. Inizia quel processo di orchestrazione opulenta (ed impervia) in cui la partitura è frastagliata e frammentata ma si ricompone di continuo in nuove unità – un processo che avrà, in Puccini, in suo apogeo in La Fanciulla del West ma a cui stava lavorando, in parallelo, in una piccola città provinciale di Moravia (priva di un vero e proprio teatro , nonché di una sala da concerto) Léos Janaceck. Manon Lescaut appartiene al Novecento storico per l’orchestrazione (che nelle esecuzioni e nelle recensioni riceve, spesso, poca attenzione) quasi più che per la vocalità. Se nelle voci si apre con un sublime “chiacchierar cantando” (quanto dovette imparare Strauss da “Manon Lescaut”!) e si giunge ai turgidi “la” del duetto delle frenesia erotica del secondo atto, in orchestra, il grande organico si deve cimentare con una scrittura frammentata, spezzata e ricostruita
Con una co-produzione dell’opera, il “Massimo Bellini” di Catania ed il “Massimo” di Palermo offrono un contributo ai 150 anni dalla nascita di Puccini. Dopo Catania e Palermo (in scena sino al 19 giugno) lo spettacolo verrà visto a Firenze in autunno e forse in altri teatri. In tempi magri per la finanza pubblica e per i conti teatrali è un’ottima idea. Non è un allestimento nuovo di zecca. Il vostro “chroniqueur” lo ha già visto al “Massimo” palermitano nell’inverno 1999, quando fu in scena una sera soltanto a ragione degli scioperi che allora, come oggi, travagliano il teatro.
La regia di Pierfrancesco Maestrini e le scene ed i costumi (rispettivamente di Tiziana Carlini e di Fiorella Mariani) sono, volutamente, molto tradizionali: in un elegante Settecento da cartoline illustrate su sfondi “gravure” – un po’ come le messe in scena degli Anni Quaranta e Cinquanta-, si perde, nonostante la buona recitazione, la carica innovativa (ed ancora attuale del lavoro). E’ un omaggio, per molti aspetti, alle regie di suo padre, Carlo Maestrini, scomparso nel 1994 a 74 anni e per decenni protagonista indiscusso della regia lirica all'Arena di Verona, alla Scala, al Metropolitan di New York, al Lyric di Chicago ed al Colòn di Buenos Aires. La messa in scena, la recitazione, ed i costumi seguono fedelmente il libretto, sono eleganti (quasi preziosi) ma non c’è ancor tentativo di re-interpretazione o rilettura del testo. E’ un Settecento di maniera (come poteva piacere al pubblico di fine Ottocento-inizio Novecento), con l’accento più sulla vicenda di un amore sentimentale che di trascinamento erotico in modo già votato alla decadenza ed alla propria dissoluzione. Il pubblico catanase la ha gradita. Tuttavia, in future riprese (a Palermo e Firenze) si eviti l’intervallo di 20 minuti tra il terzo ed il quarto atto (come ormai si fa ovunque.
Il protagonista Maurizio Grazian (chiamato a sostituire Marcello Giordani che ammalato ha cancellato tutte le rappresentazioni) non ha né le “physique” ne la voce del ruolo ; è migliorato gradualmente nel corso dello spettacolo, ma ingola i “do” e scansa i “sì”. L’esito è stato meno che adeguato tanto in “Donna non vidi mai”al primo atto quando nell’appassionante duetto “Tu, amore? Tu” , al secondo atto, - duetto è il vero fulcro dell’opera. A suo merito, ha un buon registro di centro ed un apprezzabile tono brunito.
Le sua carenze spiccano ancora di più perché Adina Nitescu è una perfetta Manon: soprano lirico puro, dal timbro chiarissimo e della vasta estensione. Affascinante in “In quelle trine morbide”, nei duetti più importanti – quelli del secondo e del terzo atto- l’eros è tutto dalla parte di lei. Efficaci Domenico Balzani (l’ambiguo fratello di Manon), Andrea Patucelli (il vecchio protettore della ragazza) ed i numerosi caratteristi.
La riuscita complessiva dello spettacolo deve moltissimo a Stefano Ranzani, forse il direttore d’orchestra più adatto a questo tipo di repertorio. Non solo l’orchestra di Catania (altalenante negli ultimi anni) ha suonato magnificamente (specialmente gli archi ed i fiati), ma Ranzani interpreta con cura e trasporto i vari colori della partitura. La carica erotica è nel golfo mistico più che sul palcoscenico. Per le rappresentazioni palermitane e fiorentine sono stati annunciati cambiamenti di cast.



26 maggio 2008
Giuseppe Pennisi


MANON LESCAUT

Dramma lirico in quattro atti di Giuseppe Giocosa, Luigi Illica, Domenico Oliva, Ruggero Loncavallo, Marco Praga, Giacomo Puccini e Giulio Ricordi
Musica di Giacomo Puccini







Direttore
STEFANO RANZANI

Regia
PIERFRANCESCO MAESTRINI

Scene
FIORELLA MARIANI

Costumi
FRANCESCO FOLINEA

Luci
FIAMMETTA BALDISERRI

Maestro del coro
TIZIANA CARLINI



Manon Lescaut Adina Nitescu,
Lescaut Domenico Balzani
Renato des Grieux Maurizio Graziani
Geronte di Ravoir Andrea Patucelli
Edmondo Saverio Fiore
L'oste Angelo Nardinocchi
Il maestro di ballo Giuseppe Conte
Un musico Josè Maria Lo Monaco,
Il sergente degli arcieri Alessandro Busi
Il lampionaio Mauro Buffoli
Il comandante di marina Ezio Maria Tisi



Allestimento della Fondazione Teatro Massimo di Palermo


Orchestra, coro e tecnici del Teatro Massimo Bellini

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