martedì 3 giugno 2008

IL TEATRO CELEBRA PUCCINI, ULTIMO GRANDE DELLA LIRICA ITALIANA, Il Domenicale 2 giugno

Il 15 giugno, con un grande concerto della Filarmonica della Scala diretto da Riccardo Chially (“Puccini IV Atto, inquietudini moderniste), viene inaugurato del nuovo Grande Teatro a Torre del Lago (una struttura fissa ad anfiteatro all’aperto per 3200 posti con, nel suo ambito, un auditorium al chiuso per circa 500 spettatori). Una struttura finanziata interamente da enti locali e da privati (in primo luogo il Monte dei Paschi di Siena) , dimostrazione di come, quando si vuole, la “finanza di progetto” può funzionare e dare buoni risultati. Poche settimane dopo, il 12 luglio, inizia il 54simo Festival Pucciniano con un nuovo allestimento di “Turandot” seguito da riprese di “Tosca” e di “Madama Butterfly” e da una rarità l’opera giovanile “Edgard” che soltanto di recente si è cominciato ad apprezzare. Con le manifestazioni a Lucca e Torre del Lago – il 23 maggio è iniziato un convegno internazionale in varie puntate che si snoderà sino a novembre anche a Milano e New York- le manifestazioni per i 150 anni dalla nascita di Giacomo Puccini raggiungono il loro momento più alto: iniziate il 19 gennaio a Roma con il nuovo allestimento di “Tosca” (replicato sino a fine aprile al Teatro dell’Opera) terminano il 22 dicembre 2008 (giorno della nascita) con un importante concerto al Teatro del Giglio di Lucca.
In Italia tutti i maggiori teatri hanno programmato e realizzato nuovi allestimenti delle dieci opere di Puccini; un opuscolo del Comitato per le Celebrazioni Pucciniane appena uscito riporta i dettagli. A New York (con Roma, Patria di adozione di Puccini) il Metropolitan ha messo in atto un cartellone davvero speciale.
Occorre chiedersi se “l’anno pucciniano”, ancora in corso, è l’occasione per una riflessione sul periodo in cui operò Puccini (dall’ultimo scorcio del XIX secolo ai primi 25 anni del XX) e sulla eredità lasciata alle generazioni future.
. Per il teatro d’opera italiano i decenni di attività di Puccini coincisero con la fine della fase in cui in Italia trionfò la lirica commerciale. La “musa bizzarra e altera” (come definita accuratamente da Herbert Lindenberger) non era una riserva dei mecenati o dei palchettisti-sostenitori provenienti della aristocrazia ed alta borghesia, ma uno degli spettacoli popolari per eccellenza; in tutte le città italiane si costruivano o si ammodernavano teatri che si sostenevano quasi interamente con i proventi da biglietteria; nelle città maggiori più teatri operavano in concorrenza, anche sotto il profilo dei prezzi e della qualità (a Milano ad esempio le “stagioni” della Scala contenevano un numero limitato di titoli ma le rappresentazioni erano di alto livelli; al Dal Verme ed al Manzoni si offrivano, a prezzi contenuti, cartelloni più estesi con titoli di solito molto conosciuti, inframmezzati, di tanto in tanto, da novità di giovani). L’iniziativa imprenditoriale dei grandi impresari (che aveva caratterizzato la prima metà dell’Ottocento) era stata sostituita da quella dei grandi editori (quali Ricordi e Sonzogno) e dalle loro rivalità; mentre all’inizio del XIX secolo gli autori trattavano direttamente con gli impresari (e dovevano spesso seguirne i capricci in tema di scelte di libretti e di interpreti) , alla fine del secolo gli editori fungevano da intermediari tra compositori e impresari;si affermavano le normative nazionali e le convenzioni internazionali sui copyright. Vigeva un sistema di mercato - ma di mercato autoregolato dalla concorrenza-competizione-cooperazione (pure collusione) tra editori. In tale mercato autoregolato stava entrando la politica. Dopo Puccini , la politica diventò centrale nella vita musicale italiana.
Quale il lascito musicale ? Da un lato, come scrive uno dei maggiori studiosi di Puccini, Julian Budden, “con “Turandot” la tradizione dell’opera italiana, che durava più di tre secoli, giunse alla sua conclusione”. Da un altro, però, come si è accennato, Puccini fu il solo compositore italiano a cavallo tra il XIX e XX secolo ad essere realmente internazionale, a superare il melodramma ed altre forme d’opera italiane innescando in esse elementi tanto francesi quanto tedeschi ed anche asiatici. La sua eredità più che in Italia fu nel resto del mondo: un nuovo modo di concepire il teatro in musica venne compreso soprattutto da Benjamin Britten e dai compositori americani della metà del Novecento – quali Carlisle Floyd, Thea Musgrave , Robert Ward, Jack Beeson, Kirche Meechem- e da quelli che stanno mietendo successi in questo primo scorcio di XXI secolo – quali André Previn, Gerald Barry, Nicholas Maw . John Adams, Thomas Pasateri, Dominick Argento. Ed ovviamente, il loro “zio” putativo Giancarlo Menotti.


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