sabato 14 giugno 2008

IL CANTO DELLA TERRA, Musica giugno

PROKOFIEV Concerto n. 2 in sol minore per violino e orchestra Op.63
MAHLER Das Lied von der Erde- Sinfonia con voce di tenore e di contralto
Cecilia Laca, Silvia Pasini, Kostantin Andreyev Orchestra Sinfonica di Roma, direttore Francesco La Vecchia
Roma, Auditorium di Via della Conciliazione , 21 aprile 2008

Come di consueto, l’Orchestra Sinfonica di Roma (Osr), ormai diventata – anche a ragione della politica di prezzo praticata – uno dei complessi sinfonici più popolari della capitale, affianca una partitura più conosciuta ad una meno nota. In questo caso, la più conosciuta è il Das Lied von der Erde di Mahler – ascoltato negli ultimi anni a Roma in esecuzioni dell’Accademia di Santa Cecilia e dell’Orchestra di Roma e del Lazio. Più rare quelle del Concerto n. 2 per violino ed orchestra di Prokofiev. Il concerto, breve (24 minuti) e frizzante, è nella prima parte della serata, mentre la seconda (63 minuti) è dedicata allo struggente commiato dal mondo, in chiave di trovata serenità Zen, di Mahler, la sinfonia di cui poco prima di morire il grande direttore d’orchestra Jascha Horenstein disse “una delle cose più tristi di lasciare il mondo è il non potere più ascoltare il Das Lied von der Erde”.
Il meno noto Concerto di Prokofiev richiede alcune note. Si situa in un periodo particolare della vita del compositore, acutamente definito da Tommaso Manera “geniale ma capriccioso figlio” di una Patria con un regime autoritario: dopo anni di volontario esilio, stava tornando in Russia (un rientro “lungo” e graduale che durò quattro anni). Proprio Montanari considera il Concerto come rivolto al pubblico francese (ed internazionale) mentre gran parte delle composizioni di Prokofiev, in quella fase, cercavano di conquistare il pubblico russo. Differente il giudizio di Piero Rattalino nel suo fondamentale saggio sulla poetica, sulla vita e sullo stile dell’autore: il Concerto è letto come “la perfetta attuazione” dell’articolo sull’Isvestia in cui Prokofiev tracciava la propria poetica di artista sovietico ma innovativo. Propendo per una valutazione intermedia: lo situo come conclusione dell’ultimo periodo parigino (non da considerarsi “ambiguo”, la definizione è di David Nice, ma di riaggancio alle strutture formali tradizionali, pur inserendovi forti innovazioni, e strizzando l’occhio al pubblico).
Questa è per molti aspetti la lettura di Francesco La Vecchia e Cecilia Laca. La giovane violinista incalza subito (nel suo dialogo con l’orchestra) con la melodia accattivante in quarta corda (tale da affascinare il pubblico sin dalla prima esecuzione). E’ accentuato il lirismo soffuso del secondo tempo ed il passo di danza con richiami al folklore spagnolo (un omaggio alla moglie Lina?) con l’impiego delle nacchere in orchestra. Cecilia Laca ha dato prova di virtuosismo, ottenendo applausi del pubblico diretti specificamente a lei. L’orchestra ha evidenziato quanto “capriccioso” è sempre stato Prokofiev nel citare e nel contaminare (sempre trasformando temi e motivi anche altrui in qualcosa di molto personale).
Das Lied von der Erde non richiede presentazione per i lettori di Musica. Mi limito a recensire l’esecuzione, che è stata accolta da circa dieci minuti d’ovazioni al suo termine. La Vecchia ha superato brillantemente la maggiore difficoltà: l’equilibrio tra il vasto organico orchestrale e le due voci. Ha dato enfasi ai fiati (oboe, fagotti, controfagotti) ed alle arpe in modo da soffondere l’esecuzione di quel senso di melanconia in viaggio verso l’estrema serenità che è il tratto saliente della partitura. Kostantin Andreyev è un tenore lirico con una tessitura che gli permette ruoli spinti. E’ dotato di un timbro chiaro, trasparente, e di un legato morbido. E’ stato ascoltato di recente a Roma in “Rusalka” (Musica n.195). Un suo limite è il volume; dalla 16sima fila di un Teatro dell’Opera la cui acustica lascia a desiderare si avvertiva molto di può che dalla quarta dell’Auditorium di Via della Conciliazione. Ha dato una lettura, nel complesso, generosa ed agile di una parte scritta, però, per un baritenore e spesso affidata ad un baritono; particolarmente brillante nel Der Trunkene in Frühling . Di grande livello Silvia Pasini (che sembra sia transitando da una vocalità da mezzosoprano ad una da contralto, come richiesto dalla partitura) specialmente nello struggente, e per l’interprete terrificante, Der Abschied finale.

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