Alla Scala è in cartellone sino al 30 giugno “Il Giocatore” di Sergej Prokofiev. E’ un’opera rara che in Italia è stata presentata solamente una volta – sempre nella sala del Piermarini – una dozzina d’anni fa nel corso di una tournée del Teatro Teatro Mariinkij di San Pietroburgo in Italia. E’ una coproduzione con la Staatsoper unter Den Linden di Berlino (dove ha debuttato con grande successo in primavera ed è in cartellone nel 2009- anzi pare che verrà replicata una dozzine di sere ogni anno per i prossimi cinque anni) L’allestimento è curato dal giovane Dmitri Tscherniakov (autore pure delle scene e dei costumi). E’ contro la messa in scena che si è accanita la critica , specialmente quella di sinistra che, di norma, applaude alle attualizzazioni di opere del passato ed ai messaggi “sociali” che da esse si possono ricavare. Tscherniakov ci porta in una Roulettenburg (è questo il nome della città tedesca in cui si svolge l’opera, tratta da una novella di Dostojevkj moderna un po’ dimessa. E’ una delle tante città di provincia dell’Europa centrale dove l’attività centrale è il casinò con annesso albergo (o viceversa): si fornica, si gioca d’azzardo, ciascuno cerca di imbrogliare il proprio vicino. Non siamo – come nel libretto scritto da Prokofiev nel 1915-16 - in una stazione termale di lusso (con annesso gioco d’azzardo) simile a Marienbad od a Baden Baden, all’inizio del Novecento dove russi ricchi ed annoiati intrecciano storie di corna con la roulette.
L’albergo è dimesso; accanto ai due tavoli di roulette abbondano le slot machines; le stanze hanno appena l’essenziale. Il quadro che se ne ricava è crudo: di vacanzieri russi provenienti da un mondo in disfacimento in cui il protagonista, fondamentalmente “un bravo ragazzo” aitante pur se con qualche difetto (ama le carte e si vuole scopare la figlia del generale) finisce un vero e proprio vortice. Porta sotto le lenzuola la ragazza (mentre il generale ne fa di cotte e di crude con una Blanche del demi-monde parigino) , ma non riesce a godersela davvero perché ormai ossessionato dalla roulette e dai soldi facili. L’opera presenta una società malata (dal gioco d’azzardo in un’ipotetica stazione termale dal nome rivelatore di Roulettenburg) ed è incentrata sul principio della “disonestà vittoriosa”- chi bara accalappia il successo. L’opposto della morale del realismo socialista. Quanto Prokofiev ne scrisse il libretto e ne compose la musica era la Russia pre-rivoluzionaria (ma fu la rivoluzione bolscevica a bloccarne la prima, nonostante che fosse stata inserita in cartellone e ne fossero state fatte numerose prove). Prokofiev lo sappiamo – emigrò negli Usa ed in Francia; l’opera venne messa in scena a Bruxelles (in francese) nel 1929. Da allora le riprese sono state rare, anche in quanto il lavoro richiede una trentina di solisti (molti dei quali in più ruoli).
La regia di Tscherniakov mostra che poco o nulla è cambiato: la Russia post-sovietica è unicamente più provinciale e più pacchiana di quella d’antan , ma ancora una volta (come in quella sovietica) premia la disonestà. E’ un messaggio attualissimo (ed in linea con la direzione musicale di Daniel Barenboim e l’ottimo ensemble della Staatsoper. Ma a sinistra queste verità non piacciono.
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