martedì 3 giugno 2008

HENZE O LA SECONDA GIOVINEZZA Il Domenicale 1 giugno

Circa due anni fa, il “Dom” dedicò un articolo a Hans Werner Henze. Il compositore compiva 80 anni e li celebrava in Italia: vive nei pressi Roma dal 1954. Non avrebbe preso parte ai festeggiamenti predisposti al Cantiere d’Arte di Montepulciano (da lui creato e diretto per alcuni lustri) a ragione di uno stato di salute, ritenuto terminale. Analogamente pochi mesi prima (nel dicembre 2005) non aveva assistito alla ripresa della sua opera Elegy for Young Lovers, uno dei capolavori del Novecento, al Teatro delle Muse d’Ancona, prima, e al San Carlo di Napoli, poi. Era visto come un protagonista della seconda metà del secolo scorso, ormai in procinto di spegnersi. A 82 anni, invece, la sua musica sta vivendo una seconda giovinezza.
Nel 2003, quindi a 78 anni, al Festival di Salisburgo, aveva trionfato L’Upupa, una commedia in musica tratta da una leggenda siriana; era stata interpretata quale un addio alla vita. Alcuni hanno pensato che gli applausi fossero alla carriera non al lavoro specifico. Da allora, L’Upupa riporta un successo dopo l’altro nei maggiori teatri europei ed americani; il DvD tratto dall’edizione di Salisburgo è in testa alle classifiche delle vendite. Critici di rango (ad esempio Paolo Isotta) la considerano come la prima opera di grande livello per il teatro in musica del XXI secolo. L’Upupa, viaggio iniziatico di un giovane alla ricerca del significato della vita, ha i tratti, ove non le caratteristiche, di un’opera “ultima”, anche per la fattura magistrale della musica, nell'orchestrazione, nello sviluppo delle cellule tematiche, nella scrittura vocale, nella ricchezza armonica e soprattutto nella capacità di strutturare un'azione drammatica con i mezzi tradizionali del linguaggio musicale. La sintesi del secolo trascorso guardando al secolo nuovo, nella consapevolezza che lo spettatore e l’ascoltare devono comprendere il testo e la partitura ed essere trascinati, non annoiati.

Henze non ha chiuso la propria esperienza con la visione serena de L’Upupa. Lo scorso dicembre, dopo quattro anni di malattia, e dopo la perdita di persone care, ha messo in scena a Berlino in nuovo lavoro Phaedra, prontamente ripreso a Bruxelles, Francoforte e Vienna, E’ in arrivo, in un nuovo allestimento, il 5 giugno al Maggio Musicale Fiorentino che dovrebbe aprirgli le porte d’altri teatri italiani. Phaedra, in due atti, si ispira al mito greco noto soprattutto tramite tragedie antiche di Euripide e di Seneca e moderne di Racine e D’Annunzio, oltre che film relativamente recenti come quello di Dassin. Nell’opera di Henze, la tragedia dell’amore peccaminoso della regina per il figliastro è coniugata con una sua continuazione in Italia mutuata da alcuni testi latini (Virgilio, Ovidio, il commento di Servio a Virgilio) e dall’indagine di J. Frazer nel Ramo d’oro. I personaggi hanno caratteri molto differenti da quelli della tradizione letteraria, c’è poca azione in scena, il racconto delle vicende è affidato a potenti monologhi a una voce e anche a più voci quando immaginazioni e volontà dei personaggi si incontrano e si confondano. Tutto in Phaedra è costruito sulla coniugazione d’opposti, su di un'aurea dualità che conferisce all’opera la serena nobiltà delle costruzioni classiche. La duplice natura è esplicitata già nella definizione: «Konzertoper», concerto e opera. I due atti hanno pari durata (ciascuno circa 45 minuti), ma sono contrapposti per colore musicale: il primo è di compostezza apollinea, il secondo è invece dionisiaco. Un organico ridotto a 23 strumentisti per una trentina di strumenti e cinque cantanti-interpreti. Dualità e simmetrie si ritrovano persino nella strumentazione, concepita in funzione drammaturgica e articolata sui due grandi blocchi degli ottoni - che evocano la regalità del mondo di Fedra - e dei legni - che restituiscono il colore dei boschi nei quali caccia Ippolito - cui si aggiunge un contributo delle percussioni che tingono d’ arcaico alcuni passaggi dell'opera. Attraverso questi elementi, prima ancora che per il soggetto, Henze sembra dare un significato all'utopia della propria esistenza.
Dell’avventura umana e musicale di Henze, il “Dom” ha trattato nel 2006. E’ importante chiederci, alla luce di questi ultimi lavori, come mai un compositore do cui una certa sinistra ha cercato di appropriarsi, nell’Italia “a sinistra” sia stato rappresentato di rado mentre era regolarmente nei programmi del Covent Garden negli anni di Margaret Thatcher (sua grande estimatrice), ha composto opere su testi di Yukio Mishima ed è di frequente sulle scene americane e spagnole (oltre che su quelle tedesche, austriache e svizzere). Henze ha portato la musica dodecafonica al grande pubblico combinandola (grazie ad un eclettismo inconfondibile ) con la musica cromatica e diatonica tradizionale. E’ ancora una volta in questi lavori recenti non tratta i consueti temi “di sinistra”, ma quelli dell’individuo di fronte all’avventura umana ed a Dio.

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