L’ultima opera del 71simo Maggio è “Lady Macbeth del Distretto di Mzenck” di Dmitri Šostakovič, nell’allestimento che nel 1998 ottenne il “Premio Abbiati”. La vicenda è tratta da un racconto di Nicolai Leskov - una storiaccia di sesso e sangue in cui la protagonista, Katerina L’vovna, borghese di provincia mal ammogliata, uccide tutti gli uomini che si porta sotto le lenzuola. La musica era, nel contesto degli Anni Trenta appositamente alla rovescia, in modo da non ricordare le partiture tradizionali d’opera, da non avere nulla a che fare con il sinfonismo, né con il linguaggio musicale semplice e comprensibile a tutti. Šostakovič era poco più che ventenne ma già noto.in Urss ed all’esteto. La prima rappresentazione il 22 gennaio 1934 ebbe un esito trionfale tanto che l’opera venne ripresa a Londra, a Praga e a Cleveland, nell’arco di meno di 18 mesi. Dopo la prima esecuzione a Mosca, la mattina del 28 gennaio 1936, la “Pravda” pubblicò un editoriale non firmato, ma dettato dallo stesso Stalin, in cui si accusava il lavoro di pornografia e di cacofonia. Da allora iniziò, per Šostakovič un processo di “mobbing” che durò sino alla fine degli Anni 50. Non compose opere per decenni. Nel 1963, propose una nuova edizione di “La lady Macbeth”, espurgata, però, nel testo, nella partitura ed anche nel titolo (diventato “Katerina Izmailova”). Sino a tempi recenti questa versione è quella vista più spesso in Italia. L’originale del 1934 è stato proposto nel 1947 al Festival di musica contemporanea a Venezia e negli ultimi anni a Spoleto, a Firenze, a Milano, a Catania, a Ravenna ed a Roma. L’edizione fiorentina del 1998 (regia di Lev Dodin, scene e costumi di David Borovsky, direzione musicale di Semyon Bichkov) è stata considerato esemplare. E, quindi, da riproporre a dieci anni di distanza dalla prima rappresentazione fiorentina. Il 21 giugno il teatro era pieno, nonostante si fosse nel primo caldo sabato estivo; il pubblico ha saluto con entusiasmo le tre ore e mezzo di spettacolo interrotte da un breve intervallo.
La regia Dodin (che ha curato la ripresa in prima persona) e le scene e costumi (riprese da Alexander Burovsky) sono rimaste identiche a quelle del 1998: un impianto unico per rappresentare i vari ambienti (dall’azienda agricola, al commissariato di polizia, alla radura dove sostano i condannati alla deportazione in Siberia). La direzione musicale, invece, è molto differente. La bacchetta di James Conlon non ha il fuoco e la concitazione di quella di Bichkov (o di quelle di Chung e Gergiev per ricordare altre edizioni recenti) ma è melanconica, ed a volte ironica (nella scena del commissariato ed in quelle in cui è presente un Pope ridotto a ridicola macchietta). Grande attenzione ai dettagli. Enfasi sui violoncelli e sui fiati piuttosto che sugli ottoni. Risalto agli intermezzi in cui la buca d’orchestra viene portata al livello del palcoscenico. Una “Lady”, quindi, più dolente che demoniaca. La incarna Jeanne-Michèle Charbonnet, simile ad una Madame Bovary russa (delusa dai vari uomini della sua vita) piuttosto che ad una furia sanguinaria. La affianca un vasto cast (oltre 15 solisti in 22 differenti ruoli), tutti abili sia nella recitazione sia nel canto, nonché con le “physique du rôle”.. Tra essi spiccano Sergej Kunaev (nel ruolo dell’amante della protagonista) e Vladimir Vaneev (in quello del suocero). Lo spettacolo dovrebbe andare anche in teatri come Parigi e Amsterdam con palcoscenici vasti come quello fiorentino.
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