Nell’arco delle prossime due settimane (alla Scala ed al Maggio Musicale Fiorentino) si possono ascoltare due opere russe che irritarono Stalin (tanto da metterne al bando una ed impedire la rappresentazione dell’altra). Pare non siano mai piaciute a Walter Veltroni. La prima è la nuova produzione, in coproduzione con la Staatsoper di Berlino, de “Il giocatore” di Sergej Prokofiev (alla Scala del 16 al 30 giugno ; la seconda è la ripresa de “La Lady Macbeth del distretto di Mzensk” di Dmitri Šostakovič (dal 23 al 26 giugno) in un allestimento di Lev Dodin che dieci anni fa ottenne il “Premio Abbiati” (l’Oscar della musica lirica). Rivisto dal regista e dallo scenografo, viene presentato con un nuovo cast.
“Il giocatore” è stata composto nel 1915-16 (quando l’autore era giovanissimo). La seconda è stata concepita tra la fine degli Anni Venti e l’inizio degli Anni Trenta e, dopo la “prima” (in quella che allora era l’Urss) fu un immediato successo internazionale, ma piombò su di lei un interdetto di Stalin in persona.
Prokofiev aveva poco più di vent’anni, quando, ispirandosi ad un racconto di Dostojevkj, scrisse il libretto de “Il giocatore” e compose la musica dei rapidi quattro atti affollati da un vasto numero di personaggi. La musica velocissima: rispecchia il periodo dadaista e futurista dell’autore che, affascinato dal cinema, voleva riproporre i ritmi incalzanti del “muto”. Presenta una società malata (dal gioco d’azzardo in un’ipotetica stazione termale dal nome di Roulettenburg) ed è incentrato sul principio della “disonestà vittoriosa”- chi bara accalappia il successo. L’opposto della morale del realismo socialista. Prokofiev, “figlio geniale ma capriccioso” della Russia (la definizione è di Tommaso Manera), ebbe con il regime autoritario un rapporto complicato, lasciò la Patria all’inizio di una “rivoluzione proletaria” per lui “problematica”, ma vi ritornò (gradualmente) mentre stava cominciando il periodo peggiore del terrore staliniano, compose nel 1950 l’oratorio più celebrato dal comunismo internazionale (“Siate vigili per la Pace”), e morì quasi alla stessa ora di Stalin tanto che del suo decesso diede notizia un giornale americano quattro giorni dopo e la “Pravda” ben sei giorni più tardi.Alla Scala, l’allestimento di Dmitri Tscherniakov, con la direzione musicale di Daniel Barenboim, ci porta in una Roulettemburg moderna ed un po’ dimessa, dove, con tempi incalzanti (un solo intervallo), si ripropone l’apologo amaro di un mondo in cui ciascuno cerca di imbrogliare il vicino.
Nonostante inserita nel cartellone del Marijnkij (il teatro principale di Pietroburgo) per la stagione 1916-17 e nonostante messa in prova, la sua “prima” venne bloccata del “grande fratello”. Avvenne (in traduzione francese e con la musica rimaneggiata) nel 1929 a Bruxelles.
Dmitri Šostakovič scelse un racconto di Nicolai Leskov per “La lady Macbeth del distretto di Mensk”- una storiaccia di sesso e sangue in cui la protagonista, Katerina L’vovna, borghese di provincia mal ammogliata ed assatanata, uccide tutti gli uomini che si porta sotto le lenzuola. L’opera sarebbe dovuta essere la prima di una tetralogia dedicata alla donna russa – ovviamente alla donna post-rivoluzionaria, liberata sessualmente e politicamente. Che l’argomento fosse considerato accettabile, lo dimostra che Šostakovič ne avesse avuto contezza tramite una versione cinematografica di Cesar Savinki C’era, però, la musica:“fatta appositamente alla rovescia, in modo da non ricordare affatto la classica musica d’opera, da non avere nulla a che fare con il sinfonismo, con il linguaggio musicale semplice e comprensibile a tutti”.
“La lady Macbeth” ebbe la prima rappresentazione il 22 gennaio 1934 al “Malyi” (il teatro più piccolo di Pietroburgo) con un esito trionfale i cui echi furono tali da giungere oltre i confini dell’Urss, tanto che – cosa insolita in quegli anni - venne ripresa anche Londra, a Praga e a Cleveland, nell’arco di meno di 18 mesi. La mattina del 28 gennaio 1936, la “Pravda” pubblicò un editoriale non firmato, ma dettato dallo stesso Stalin, ed intitolato “Caos anziché musica”: si accusava il lavoro di pornografia e di cacofonia. Da allora (si era nel 1936) iniziò, per il compositore non ancora trentenne, un processo di “mobbing” che durò sino alla fine degli Anni 50. Si allontanò dal teatro in musica, nonostante avesse progettato di continuare la tetralogia sulla donna e stesse studiando anche altri libretti. Si buttò nella sinfonica per grande organico. Solo dopo la morte di Stalin, ritornò, moderatamente all’innovazione: nella tredicesima sinfonia introduce la voce solista (su testi di Evtušcenko). Nel 1963 propone una nuova edizione de “La lady Macbeth”, espurgata, però,nel testo, nella partitura ed anche nel titolo (diventato “Katerina L’vovna”): è questa versione che viene conosciuta in Italia, principalmente tramite tournées dell’Opera di Zagabria, di Lubiana ed anche di Sarajevo a Napoli, Genova e nei circuiti della Lombardia e dell’Emilia-Romagna tra gli Anni 60 e 70. “La lady Macbeth” del 1934 si è ascoltata soltanto nel 1947 al festival di musica contemporanea di Venezia, nel 1980 a Spoleto, nel 1987 a Trieste, nel 1992 e nel 2007 alla Scala e nel 1994 e 1998 a Firenze.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento