In che misura la manovra di finanza pubblica appena varata dal Consiglio dei Ministri può incidere sulle turbolenze che da alcuni mesi turbano Piazza degli Affari (ed in 12 mesi hanno portato ad una contrazione del 20% circa il principale indice italiano di borsa)? E’ una domanda che si pongono molti. Tentare di dare una risposta vuol dire guardare non tanto alle reazioni immediate delle 48 ore successive il varo delle misure da parte del Cdm ma al medio periodo e tenere conto di vincoli generali.
Il primo di tali vincoli è che il nostro è un piccolo mercato ormai in gran misura integrato in quello europeo ed in via di rapida integrazione in quello atlantico (ove non mondiale). Le minacce di una recessione Usa (si guardi ad una recente analisi di Martin Feldstein presentata la settimana scorsa al Reuters Investment Outlook Summit a New York) incidono sui mercati molto, ma molto di più, delle promesse della manovra italiana di finanza pubblica. Ancora maggiore l’incidenza dell’ondata di scandali che travaglia la maggiore piazza finanziaria mondiale, Wall Street.
Una caratteristica poco notata, in ogni caso, è che i mercati azionari europei sono diventati molto più “volatili” da quando esiste l’area dell’euro. Arriva a questa conclusione uno studio pubblicato nel fascicolo di giugno del periodico “European Financial Management” in base di un’analisi empirica dell’andamento di 3515 titoli nei 12 mercati dei Paesi del gruppo di testa dell’unione monetaria nel periodo 1974-2004 (tale da non coprire quindi le turbolenze dell’ultimo anno e mezzo). E’ una “volatilità”, poi, differente da quella sul mercato Usa poiché tende a reagire positivamente e con forte rapidità a “news” (comunicati stampa, informazioni giornalistiche e televisive) anche in periodi di bassi rendimenti. Il messaggio dell’analisi econometrica è chiaro: non farsi prendere dall’entusiasmo se si stappano bottiglie di champagne (o di prosecco a Piazza Affari all’annuncio di un anticipo della finanziaria e di contenuti tali da indicare che la manovra è ispirata a serietà). Ove ciò non avvenga, inoltre, non demonizziamo le innovazioni ed i derivati: un bel saggio di Ernst Juerg Weber ci ricorda che i titoli strutturati di oggi hanno i loro antenati non nel mercato finanziario olandese nel Seicento (come racconta la pubblicistica) ma in una vasta finanziaria integrata che ai tempi dell’Impero romano si estendeva dalla Mesopotamia all’Egitto ellenistico ed erano basati su “futures” anche piuttosto complessi. E’ roba, dunque, antica: è unicamente responsabilità nostra (e del resto della comunità internazionale) se non siamo stati in grado di frenare (con un’attenta opera di regolazione e vigilanza) alcuni eccessi – quali quelli del “subprime”.
Ci sono, poi, alcune peculiarità finanziarie del nostro mercato. Un lavoro delle Università e di Siena nell’”International Journal of Modern Physics” – un periodico fortemente matematico ma che tratta anche di tematiche finanziarie ed aziendali- analizza la dinamica e la struttura delle principali società italiane quotate utilizzando strumenti affini a quelli impiegati nelle scienze naturali (quali il Minimal Spannino Tree MST, e lo Hierarchical Tree (HT). L’esito è l’individuazione di “clusters” ossia di gruppi d’unità simili o vicine tra loro, dal punto di vista della posizione o della composizione. Gli operatori ne tengono (più o meno consapevolmente) conto nella costruzione dei portafogli, accentuando la “volatilità” (quando le news portano ad entusiasmi) a cui abbiamo accennato.
Ciò spiega anche perché, nonostante la vulgata, i fondi azionari italiani (a cui spesso alcuni quotidiani fanno cassa da risonanza) non “battono i loro competitori consistentemente” Un’analisi dell’Università Cà Foscari di Venezia (University Ca' Foscari of Venice, Dept. of Economics Research Paper Series No. 12_08) smentisce con una ricchezza di dati questa ipotesi che pare basarsi unicamente su analisi a breve periodo (con intervalli di quattro mesi, non di 12). In Italia come nel resto del mondo i fondi azionari non generalisti – ossia che pongono l’accento soltanto su alcuni comparti di cui acquisiscono profonda conoscenza – fanno meglio degli altri.
A che conclusioni giungere? In primo luogo, non farsi prendere da facili entusiasmi di un mercato “volatile” (all’insù) ed a “clusters” e, tutto sommato, modesto nel conteso internazionale. In secondo luogo, si potranno afferrare meglio le tendenze e tracciare le prospettive quando la manovra avrà superato parte dell’iter parlamentare.
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