giovedì 12 giugno 2008

UN PIANO MARSHALL PER IL MEDITERRANEO?, L'Occidentale del 12 giugno

L’Unione Euro-Mediterranea sarà uno degli aspetti fondamentali del programma che la Francia si appresta a varare nei sei mesi (iniziano il primo luglio) . Lo ha confermato in una breve visita a Roma il Ministro francese delegato al commercio con l’estero, Anne-Marie Idrac – considerata da “Fortune” una delle donne “piùà potenti al mondo” anche è stata ex-presidente delle Ferrovie ed ha avuto altri incarichi di prestigio nell’Amministrazione e nell’industria d’Oltralpe. Il tema è stato evocato anche nelle conversazioni tra Berlusconi e Sarkozy. Si presenta, quindi, come uno degli argomenti centrali dei prossimi mesi. Si profila anche un grande “Piano Marshall” per il Mediterraneo al quale l’Italia sarebbe chiamata a dare un contributo (anche finanziario, in tempi di vacche magre) non secondario.
Per ben apprezzare il ruolo dell’Italia nell’area occorre fare un passo indietro. Nel 1859, fu avanzata la proposta di fare di Napoli la capitale della Nazione, proposta che fu poi abbandonata per via della sua posizione geografica: troppo esposta ai bombardamenti navali. Ecco, se Napoli fosse diventata capitale, l'Italia sarebbe una nazione mediterranea, invece di oscillare tra l'essere un'appendice dell'Europa continentale e intrattenere rapporti privilegiati con alcuni Paesi della sponda sud. Nonostante i conflitti che agitano le coste del Mediterraneo, il presente lascia intravedere segnali positivi verso la realizzazione di una nuova unità culturale, non soltanto economica. Il concetto di grande Europa non è unicamente una questione etnica e territoriale, geopolitica in senso stretto. In questo senso la Turchia, dove ho appena effettuato un viaggio, può essere un valore aggiunto e può provocare una forte attrazione verso l'Europa da parte di tutto il mondo mediterraneo. Ancora una volta, come fu all'epoca di Federico Secondo, un'eventuale unità tra le due sponde passa per l'osmosi delle culture. Solo se si persegue con tenacia il dialogo delle culture, è possibile ripartire da Federico Secondo (si veda il Box).
La Dichiarazione di Barcellona, firmata circa dieci anni fa, potrebbe essere il grimaldello. Quando venne stilata,, lo scenario economico e politico internazionale era molto differente dell’attuale, sia a livello mondiale sia soprattutto nel Bacino del Mediterraneo. Barcellona nasceva come una risposta, voluta con forza da alcuni Paesi dell’Unione Europea, Ue (Italia, Grecia, Portogallo e Spagna, in primo luogo), alla crescente attenzione verso l’Europa centrale ed orientale ed alle sempre più concrete possibilità di quell’allargamento dell’Unione verso Nord-Est che ora è una realtà. Nel 1995, c’erano prospettive di pacificazione tra Israele ed i suoi vicini: i “territori occupati” erano sotto l’amministrazione dell’autorità palestinese; si toccava quasi con mano l’opportunità della soluzione di un conflitto che durava da circa 50 anni. Anche nel Golfo Persico nel 1995, le prospettive erano di una graduale ma progressiva regolarizzazione dell’area. In questo contesto, apparivano concrete le prospettive di una vasta zona di libero scambio che nel 2010 avrebbe compreso quasi 40 Stati (i 27 dell’Unione Europea “allargata” e quelli della sponda meridionale ed orientale del Bacino del Mediterraneo) con 600-800 milioni di consumatori. Si sarebbe trattato, in effetti, di una molteplicità di zone di libero scambio parallele – composta ciascuna di uno o più Stato del Bacino con l’Ue, sulla falsariga di come funziona dal 1960 l’associazione tra l’Unione ed i Paesi dell’Africa, dei Carabi e dell’Oceania. In un futuro più lontano, si sarebbe giunti ad una progressiva fusione delle varie zone in una sola.
Oggi il quadro appare . In Iraq si è entrati in una fase lunga, travagliata e complessa di cui è difficile vedere i tempi ed i modi dell’esito. In Israele siamo a conflitto aperto. Ci sono pulsioni islamistiche in quasi tutti i Paesi della sponda meridionale ed orientale della regione. Sotto il profilo commerciale, l’intercambio tra l’Ue ed il resto dell’area è in diminuzione e lo sarà ancora di più man mano che si avvertono gli effetti dell’allargamento dell’Unione. Solamente la Tunisia pare pronta ad una zona di libero scambio con l’Ue; per gli altri Paesi si dovrà scadenzare un calendario sino 2020 (almeno). Inoltre, nell’agosto 2002, nelle vesti di Presidente della Commissione Europea, Romano Prodi chiuse il progetto che avrebbe dovuto porre le basi per una strategia comune dei trasporti nel bacino del Mediterraneo; i suoi interessi erano interamente rivolti all’allargamento ad Est.
In effetti, il rilancio della regione richiede un verso e proprio Piano Marshall quale quello che un nuovo Federico Secondo avrebbe varato oggi. Quali dovrebbero esserne le dimensioni?
I Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente (escludendo, i Balcani e la Turchia) hanno poco più di 300 milioni di abitanti, una crescita demografica del 2,5% l’anno, un’aspettativa di vita alla nascita di 68 anni, una mortalità infantile di 43 su 1000, un tasso di analfabetismo femminile del 24%, un reddito medio pro-capite di 2000 dollari. Secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, almeno mezzo milione di persone sono già affette da Aids. Secondo la Banca Mondiale, la riduzione della povertà estrema sarà molto lenta: anche negli scenari più ottimisti, nel 2010, oltre il 15% della popolazione della regione dovrà sopravvivere con l’equivalente di meno di 2 dollari al giorno.
I conflitti hanno inciso negativamente sui tassi di crescita; dati a consuntivo del Fondo Monetario affermano che il saggio d’aumento medio della regione del pil è passato dal 3,8% nel 2001 al 2,8% nel 2002 ed al 2,4% nel 2003 e più o meno lo stesso livello nel 2004. Una grave siccità ha avuto pure i suoi effetti. Un aspetto parimenti grave è il tracollo- rilevato dalla Società Finanziaria Internazionale- degli investimenti privati dall’estero; in passato hanno avuto un ruolo importante alla crescita di Paesi quali la Tunisia, il Marocco, l’Egitto, la Giordania ed il Libano.
Quali le risorse istituzionali e finanziarie per avviare il processo di sviluppo, essenziale ad assicurare la pace nell’area? Le tre principali istituzioni finanziarie internazionali che operano nella regione (Banca Mondiale, Banca Africana per lo Sviluppo, Banca Islamica di Sviluppo) collaborano efficacemente tra loro. Nel 1990, l’Italia propose l’istituzione di una Banca per lo Sviluppo del Mediterraneo; per dare un segnale di maggiore attenzione politica all’area: presentata nel quadro del “rapporto Craxi” sul nodo dei Paesi maggiormente indebitati, la proposta venne approvata, sotto il profilo politico, dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Venne rilanciata al vertice euro-mediterraneo di Barcellona : nuova benedizione. Ma nessun seguito concreto. Più concreto il progetto di un Fondo Mediterraneo per le piccole e medie imprese a cui stanno lavorando Italia,Francia, Portogallo, Spagna, Magreb ed Egitto.
Attualmente circa un decimo dei flussi di aiuto pubblico allo sviluppo affluisce alla regione: circa cinque miliardi di dollari l’anno. Al Development Assistance Committee dell’Ocse si stima che dovrebbero essere almeno raddoppiati. Tuttavia, il vero nodo è l’export: l’Unctad, la Fao, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario concordano: senza una liberalizzazione del commercio agricolo, la mano sinistra continuerà a togliere quando dà la mano destra. Il fallimento della Doha Development Agenda (ora probabilmente) rappresenterebbe un colpo duro ai Paesi del Mediterraneo se non sostituito da una rete di accordi con l’Ue.

Box
Federico secondo nacque e visse in Italia. È vero che i suoi possedimenti erano per buona parte in Germania (erano i possessi feudali della famiglia degli Hohenstaufen), ma la base del suo potere era il Regno di Sicilia e dell'Italia del Mezzogiorno, allora considerata area ricchissima a ragione del potenziale agricolo e dell’assetto istituzione (per molti aspetti modernissimo) messo in funzione durante la lunga occupazione araba, mentre nel resto d’Europa imperversavano i secoli più bui del Medio Evo.
Nato a Jesi (nelle attuali marche), Dalla sua capitale di Palermo Federico secondo organizzò la lotta contro quei Comuni che avevano sconfitto suo nonno Federico Barbarossa. In Sicilia si mischiavano senza combattersi, anzi in pace costruttiva, numerosi popoli: i discendenti degli Arabi, arrivati trecento anni prima; i Normanni, venuti dalla Francia duecento anni prima; i greci, che erano nell’isola da sempre; i discendenti dei romani, che parlavano una lingua simile al siciliano moderno. Federico parlava tutte queste lingue oltre al tedesco, la lingua dei suoi avi.Fu in siciliano che furono scritte le prime poesie della nostra letteratura. Tradotte in toscano, sono state conservate fino ai giorni nostri.

L'anticristo e il messia, l'eretico e il cristiano, l'illuminato e l'imperatore, fine scienziato e filosofo profondo, 'stupor mundi', ma soprattutto colui che fu in grado di creare nel bacino del Mediterraneo una compagine culturale in cui ciascun popolo che lo abitava mantenesse la sua identità. Tutto questo fu Federico Secondo, nelle parole del presidente dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana Francesco Paolo Casavola, in una recente prolusione pronunciata in occasione della presentazione a Napoli, nell'aula magna storica dell'università che porta il nome dell'Imperatore, dei due volumi dell"Enciclopedia fridericiano, oltre cinquecento voci in ordine alfabetico dedicate alla figura di Federico Secondo di Svevia, re della Germania, della Sicilia, di Gerusalemme, imperatore del Sacro Romano Impero. Federico II fu il primo a mettere in atto un'idea di stato moderna, laica, lo stato di cultura. La fondazione dell'università a Napoli nel 1224 fu un gesto di rottura con il Medio Evo, epoca in cui le università erano tenute solo da ordini religiosi, domenicani e francescani, o da corporazioni di studenti. Archetipo dell'università laica, l'istituto fondato da Federico II è l'espressione di una politica 'moderna', cosmopolita, antesignana dell'Illuminismo di Voltaire, che realizza l'unione delle due sponde del Mediterraneo, riportando tutta l'area ad essere quella culla di civiltà che fu nei tempi più remoti.
La scrittice sud-africana Maria R. Bordihn, il cui libro “Il falco di Svevia, Federico Secondo re di Sicilia e imperatore di Germania” (Marco Troppa Editore, 2005) è appena arrivato nelle librerie ricorda che nato a Jesi ma cresciuto a Palermo, Federico Secondo respirò un clima cosmpolita sin dall'infanzia da qui il suo progetto di creare un grande spazio per la circolazione delle idee e del patrimonio culturale. Arabi, egiziani, palestinesi, siciliani, vivono e convivono nel bacino del Mediterraneo grazie alla capacità dell'imperatore di non cedere a una politica di assimilazione. Federico II secondo si batté perché ognuno di questi gruppi conservasse la propria identità culturale, la sua tradizione religiosa - ha ricordato - e si batté anche perché, attraverso la traduzione, questa identità potesse essere condivisa da altri gruppi. Una concezione del Mediterraneo, quella attuata da Federico Secondo, che faceva del Meridione d'Italia il centro propulsore di questa compagine politica e culturale. Questioni, quella del rapporto tra Meridione d'Italia e Mediterraneo, e quella dell'unità della due sponde del Mediterraneo quanto mai attuali. Dopo Federico Secondo, la riva nord e quella sud del Mediterraneo si sono separate irrimediabilmente.

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