mercoledì 4 giugno 2008

IL SUD PUO' FARCELA...........SE DIMENTICA LA LIRA , Libero 4 giugno

IL SUD PUO’ FARCELA…………SE DIMENTICA LA LIRA

Il 3 giugno, il “laboratorio per le politiche dello sviluppo” – un gruppo informale di funzionari dello Stato e delle autonomie, di tecnici e d’accademici – ha tenuto un seminario di riflessione su dove sta andando il Mezzogiorno e su come migliorarne le prospettive. L’occasione è stata fornita dalla pubblicazione del Rapporto Annuale 2007 del Dipartimento per le Politiche di Sviluppo e di Coesione sugli interventi nelle aree meno utilizzate (eufemismo con il quale sono ora chiamate le regioni in ritardo di sviluppo). Il rapporto è disponibile in versione integrale al link www.dps.tesoro/rapporto-annuale-2007asp Tra qualche settimana ne sarà distribuita una sintesi (i due volumi, pur se più brevi delle edizioni precedenti del documento, occupano oltre 500 pagine a formato grande ed a stampa fitta). Il rapporto contiene analisi vaste ed approfondite (particolarmente innovativa quella sui servizi e sulle differenze di qualità, per tipologia d’attività, tra le varie aree del Paese). E’ un lavoro quantitativo che evita giudizi espliciti (anche e soprattutto poiché proviene dall’Amministrazione).
E’ utile, tuttavia, a sfatare alcuni luoghi comuni ed a fornire indicazioni, anche controcorrente, nei confronti di quella “questione meridionale” che tale è rimasta sin dagli anni immediatamente successivi all’unità d’Italia.
In primo luogo, il rapporto documenta che, anche in questi anni di congiuntura difficile, il Sud e le Isole hanno riportato tassi di crescita abbastanza buoni: il pil pro-capite era pari al 56.3% di quello del Centro-Nord nel 2000 ed al 57,9% nel 2006. Il divario si sta colmando, anche se molto lentamente. E’ una crescita trainata dall’export (la fase di ripresa delle esportazioni iniziata nel 2004 è continuata nei primi nove mesi del 2007), mentre il turismo, la creazione netta d’imprese e l’occupazione restano sostanzialmente stazionari. I dati sull’occupazione – in particolare quelli sull’occupazione femminile (al mero 30,9% della forza lavoro)- mostrano che il potenziale esiste ma che occorre trovare idee e strategie per svilupparlo. E per passare da un circolo vizioso di progressivo impoverimento ad uno virtuoso di crescente sviluppo.
Alla lettura del rapporto, la scuola neo-istituzionale (che coniuga storia economia con teoria dei giochi ed analisi dei costi di transazione) direbbe che il nodo fondamentale sta negli alti costi di transazione politici che caratterizzano il Mezzogiorno e sono, a loro volta, caratterizzati da asimmetrie informative e posizionali (“i politici” hanno più informazioni e migliore modo di utilizzarle degli altri soggetti economici). Una sezione del documento – quella sulla scuola – mostra a tutto tondo come tali asimmetrie dipendono in buona misura dalla scarsa qualità del sistema d’istruzione; ne trae anche le conseguenze indicando come questa debba essere priorità d’intervento dei fondi strutturali europei. Si tratta, però, di quelli che gli economisti chiamano incentivi “a basso potenziale”, essenziali ma tali da dare frutti soltanto nel lungo termine (riducendo gradualmente asimmetrie e promovendo mobilità sociale). Devono essere accompagnati da incentivi “ad alto potenziale”- o “azioni irreversibili” oppure “giochi ripetuti” che penalizzano chi bara con una forte perdita di reputazione (e, se del caso, esclusione sociale). Il rapporto non ne parla. Il Mezzogiorno non ha colto a pieno che la scelta dell’euro è stata “un’azione irreversibile”: poiché non si può ricorrere a svalutazioni competitive, o ci si adatta alle nuove regole oppure si affoga. Una partita cruciale è, in ogni caso, in corso in questi giorni in Campania: o si risolve il problema dei rifiuti o la sanzione (interna ed internazionale) in termini di perdita di reputazione sarà durissima (c’è chi la ha la calcolata a 15 volte il danno finanziario). Molto più pesante dalla perdita dei finanziamenti Ue , della dismissione di gran parte dell’attività turistica e di conseguenze pesanti per il manifatturiero e l’agricoltura. La pagheranno tutti. Anche quelli che tentano di evitarla.

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