Il tasso di riferimento della Bce aumenterà. Ormai è soltanto questione di sapere quando, se alla sessione del Consiglio Bce del 19 giugno od a quello del 3 luglio – oppure ancora ad una seduta straordinaria ove i dati sull’inflazione fossero tali da innervosire eccessivamente il direttorio dell’Istituto – e di quanto, se di un quarto di punto percentuale (come già in gran misura scontato dal mercato) o di mezzo punto percentuale.
Ci sono due aspetti che meritano di essere sottolineati anche al fine di tracciare i possibili effetti della misura. In primo luogo, l’aumento avvicina i tassi a medio e lungo termine dell’area dell’euro a quelli americani (persiste ancora un divario di rilievo per i tassi a breve). Lo ha sottolineato “Il Sole-24 Ore” dell’11 giugno in un articolo (dall’Australia) che ricalca in gran misura un lavoro del servizio studi della Bce (lo ECB Working Paper No 884) diffuso all’inizio di giugno. Dato che disponiamo del testo originale è sul documento che è bene riflettere. Nel lavoro, due funzionari dell’Istituto (Matthieu Darracuparies e Frak Smets) e Stéphane Adejman del Cepremap (il centro francese d’economia matematica) utilizzano un complesso modello econometrico (costruito per l’occasione) per individuare le proprietà di un’area monetaria ottimale che includa sia l’area dell’euro sia gli Usa. Il modello contiene, a sua volta, modelli specifici ai singoli Paesi e rende possibile la stima di parametri quali i tassi di cambio. Uno studio tecnico ma con una valenza politica ben maggiore di quanto annusato dai colleghi de “Il Sole-24 Ore”. E’, infatti, una delle premesse di metodo per quello che potrebbe essere l’“accordo di Okkaido” l’isola nel Nord del Giappone dove si terrà il G8 del 7-9 – là si dovrebbe definire un accordo sui tassi di cambio analogo, per portata, a quello raggiunto tra i 5 “grandi” all’Hotel Plaza di New York il 22 settembre 1985. Allora si giunse ad una strategia coordinata per deprezzare il dollaro Usa rispetto al marco tedesco ed allo yen giapponese. E rimettere così ordine nell’economia mondiale. Quindi, è anche in tale ottica che va letta la manovra Bce ed il rialzo segnato dal dollaro all’inizio di questa settimana.
In secondo luogo, la decisione di ritoccare i tassi all’insù non è stata presa a cuor leggero ma è stata sofferta (non soltanto tra Paesi “falchi” e Paesi “colombe” nel Consiglio Bce come documentato da Francesco Forte su Libero Mercato dell’11 giugno) ma anche all’interno del servizio studi Bce. Interessante un lavoro di Boris Hofman (ECB Working Paper n. 867) in cui si mette in risalto come le tecniche utilizzate per predire il principale indicatore d’inflazione – l’indice armonizzato dei prezzi al consumo- nell’area dell’euro abbia avuto una notevole robustezza nei primi anni della moneta unica ma sia “sostanzialmente deteriorato di recente”. Un altro lavoro interno del servizio studi della Banca (ECB Working Paper N. 900), condotto principalmente da economisti provenienti dalla Banca d’Italia, se chiede se si debba dare la priorità all’analisi dei dati nazionali oppure a quelli aggregati per l’intera area dell’euro allo scopo di individuare le tendenze dell’inflazione. La conclusione dell’analisi è che gli indici sintetici per l’intera area dell’euro incorporano efficacemente gli indicatori nazionali. Ad una lettura attenta, tuttavia, ci si accorge che è sofferta. Un altro lavoro (di due economisti italiani alla Bce, Giovanni Amisani e Oreste Tristani) lo mostra a tutto tondo: la risposta all’impulso varia a ragione delle condizioni iniziali. In termini colloquiali, il modello econometrico conferma come gli effetti saranno fortemente asimettrici non solo per Paesi ma anche per settori (ed aziende): l’aumento dei tassi pesa fortemente su chi è molto indebitato (come l’Italia, come il settore delle telecomunicazioni in tutta Europa, come le imprese decotte quali l’Alitalia e , secondo alcuni, pure Air One – le quali vengono colpite anche dall’incremento dei costi del carburante. Ciò pone dubbi sulla “sostenibilità dell’euro”, afferma Michael Vickers dell’Università di York in Gran Bretagna (Stato che si è tenuto ben abbracciato alla sterlina) nel CEPR Discussion Paper N. DP6337.
Tiriamo le somme. Presentato come strumento essenzialmente per fronteggiare l’inflazione (quale rilevata dai dati aggregati dell’area), l’aumento dei tassi è parte di un più vasto disegno: quella comunità economica e monetaria atlantica già ipotizzata alla fine degli Anni Sessanta (ma messa nel cassetto della fine del regime di Bretton Woods il Ferragosto del 1971). I lavori interni della Bce mostrano come sia stata una decisione sofferta anche in seno allo stesso istituto dove sta crescendo la consapevolezza, da un lato, sulla fragilità dei dati e, dall’altro, sull’asimmetria dello shock e sui rischi che comporta per l’intera unione monetaria.
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