Il romanzo dell’Abbate Prévost sul Cavalier Des Grieux e Manon Lescaut racconta le vicenda di come una bella fanciulla (destinata al convento ma predisposta al bordello di lusso) perde sé stessa e il suo giovane innamorato (anche lui indirizzato al seminario ma predisposto alla bisca). Sui due, vigila il fratello della fanciulla, sergente delle guardie del Re, ma lenone e puttaniere. Imperano libidine, corruttela e corruzione vera e propria. Si è distanti dall’immaginario da “love story” nella tradizione operistica che il romanzo ha ispirato: dal grand-opéra di Halévy all’opéra comique di Aubert sino alle eleganti statuine di Massenet. La lettura forse più fedele e quella datane in “Boulevard Solitude” da Henze dove, nel 1952, il dramma veniva attualizzato con grande efficacia alla Francia post-bellica.
La “Manon Lescaut” di Giacomo Puccini è’un “dramma lirico” che ha rivoluzionato il teatro in musica italiano. Nel 1893, dopo il lungo sonno quasi asessuato del melodramma verdiano, riporta in scena l’eros, in modo suadente nel primo atto, in modo prepotente nel secondo, in modo struggente nel terzo e nel quarto. E’ un eros giovane, quindi senza falsi pudori. Ciò avviene fa operando non sul libretto (che in quegli anni doveva essere castigato) ma sulle voci e soprattutto sull’orchestra. Il lavoro inizia con un “chiacchierar cantando” (precursore dello Strauss più maturo) e giunge ai turgidi “do” del duetto delle frenesia sessuale del secondo atto. Il grande organico si cimenta con una scrittura frammentata, spezzata e ricomposta. (anticipando Janaceck) anche nel notissimo “intermezzo”.
Con una co-produzione dell’opera, i due “Massimi” teatri siciliani offrono un contributo ai 150 anni dalla nascita di Puccini. Dopo Catania e Palermo (in scena sino al 19 giugno) lo spettacolo andrà a Firenze in autunno. In tempi magri per la finanza pubblica e per i conti teatrali è un’ottima idea.
La regia di Pierfrancesco Maestrini e le scene ed i costumi (rispettivamente di Tiziana Carlini e di Fiorella Mariani) sono, volutamente, molto tradizionali: in un elegante Settecento da cartoline illustrate su sfondi “gravure” – un po’ come le messe in scena degli Anni Cinquanta-, si perde, nonostante la buona recitazione, la carica innovativa (ed ancora attuale del lavoro). Anche perché il protagonista Maurizio Graziani non ha né le “physique” ne la voce del ruolo ; ha l’attenuante di sostituire un collega ammalatosi (e di migliorare gradualmente nel corso dello spettacolo), ma ingola i “do” e scansa i “sì”. Lo si nota anche di più perché Adina Nitescu è una perfetta Manon: soprano lirico puro, dal timbro chiarissimo e della vasta estensione. Nei duetti più importanti – quelli del secondo e del terzo atto- l’eros è tutto dalla parte di lei. Efficaci Domenico Balzani (l’ambiguo fratello di Manon), Andrea Patucelli (il vecchio protettore della ragazza) ed i numerosi caratteristi.
Oltre a Adina Nitescu, lo spettacolo conta molto sulla capacità di Stefano Ranzani, forse il direttore d’orchestra più adatto a questo tipo di repertorio. Non solo l’orchestra di Catania (altalenante negli ultimi anni) ha suonato magnificamente (specialmente gli archi ed i fiati), ma Ranzani interpreta con cura e trasporto i vari colori della partitura. La carica erotica è nel golfo mistico più che sul palcoscenico. Per le rappresentazioni palermitane e fiorentine sono stati annunciati cambiamenti di cast.
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