Vi spiego
perché l’economia non cresce giochicchiando solo con le aliquote fiscali
06 - 03 -
2014Giuseppe Pennisi
Mentre il premier Renzi e il ministro dell'Economia,
Padoan, rilanciano le idee sulla riduzione del cuneo fiscale per le aziende e/o
per i lavoratori, non si dimentichi che per ravvivare la crescita serve anche
riscaldare la domanda e non disdegnare una intelligente politica industriale
Si riuscirà a riattivare la crescita economica di
medio e lungo periodo soltanto o prevalentemente con una strategia
redistributiva? Questa sembra essere la linea del governo: la riduzione del
cuneo fiscal-contributivo, unitamente ad un’accelerazione dei rimborsi dei
crediti commerciali delle pubbliche amministrazioni alle imprese sarebbero il
grimaldello dei consumi delle fasce di reddito a reddito più basso. Ciò, a sua
volta, attiverebbe la domanda interna su un percorso virtuoso tale da rendere
possibili anche aumenti della pressione tributaria sulle fasce a reddito più
elevato. Il tutto verrebbe poi compensato da sforbiciate su pensioni d’oro o
d’argento.
GLI STUDI
Un’analisi di lungo periodo pubblicata dal Fondo
monetario nel lontano 2011 ma ora di straordinaria attualità sembra
smentire queste ipotesi, e giustificare, quindi, anche misure, promosse da
Fondo, Banca centrale europea e Commissione europea, che non sono
andate tanto per il sottile nei confronti dei ceti a basso reddito. Un nuovo
lavoro, sempre del Fondo, rafforza le conclusioni raggiunte nel 2011. Il nuovo
studio (ne sono autori Andrew Berg, Jonathan Ostry e Charalambos Tsangrarides)
riguarda l’andamento economico di 173 Paesi nell’arco di cinque decenni. E’
un’analisi empirica (ed econometrica) tale da poter permettere
generalizzazioni. Utilizza come metro quantitativo i “coefficienti di
concentrazione” elaborati, molti decenni fa, dallo statistico italiano Corrado
Gini; coefficienti abbastanza facili da calcolare anche in Paesi che cinquanta
anni fa disponevano di apparati statistici elementari. Lo studio, pur
avvertendo che non bisogna giungere a conclusioni “affrettate”, indica che i
Paesi (come gli Usa) in cui le politiche redistributive abbassano di una decina
di punti il “coefficiente di Gini” (tanto tale coefficiente è più alto tanto
maggiori sono le diseguaglianze ) la crescita è stata per decenni vivace,
mentre in Paesi (come la Svezia) le cui politiche redistributive abbassano il
coefficiente di 23 punti, la crescita ristagna.
LE CONSEGUENZE
Ribadiamo anche noi che questi dati vanno presi con un
grano di sale. Non solo in numerosissimi Paesi dove la diseguaglianza impera ed
imperversa, breve periodi di crescita vengono seguiti da lunghe fasi di
stagnazione e declino, ma i contenuti delle politiche redistributive incidono
sullo sviluppo; ad esempio tassando il lusso per finanziare le scuole e la loro
maggiore apertura a ceti deboli.
Tuttavia il lavoro deve fare riflettere. Non si
ritorna sulla via del progresso giocherellando con le aliquote tributarie ma
grazie a ben concepite politiche della domanda. In un Paese manifatturiero come
il nostro, ciò vuol dire anche una dose di ben concepita politica industriale.
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