lunedì 3 marzo 2014

IL FUTURO DELL’UNIONE MONETARIA in Formiche marzo



IL FUTURO DELL’UNIONE MONETARIA
Giuseppe Pennisi
Perché non sempre sorge il sole alla fine delle lunghe notti di Bruxelles, dove si negoziano strumenti come l’unione bancaria, mirati a rafforzare un’unione monetaria che pare sempre più traballante? E perché raggiunto un accordo, ratificato un protocollo  (spesso di corsa ed in Italia nel caso del Fiscal Compact nottetempo), ci si accorge, nel giro di poche settimane o di pochi mesi, che quanto si è faticosamente concluso altro non è che una toppa ed occorre metterne al più presto una nuova?
Una dimensione importante viene esplorata con una strumentazione quantitativa da Luigi Guiso (EIEF & CEPR), Helios Herrera (HEC Montreal) e Massimo Morelli (Columbia University) in un lavoro a circolazione limitata : A Cultural Clash View of the European Union’ . Già dal titolo ricorda il Clash of Civilitations teorizzato da Samuel Huntington nel 1992 e per decenni  livre de chêvet della ‘Nuova Destra’ dell’area atlantica.

Il tema non è nuovo: da decenni, i sociologici sostengono che i tedeschi hanno scale valoriali differenti da quelle dei greci o, per restare in Italia, circa tre decenni fa il socio-economista Robert Putman quantizzò che i veneti ed i siciliani applicano la stessa normativa in modo diammatricalmente opposto. Di recente, Enrico Spolaore e Romain Warziag hanno passato in rassegna, sul Journal of Economic Literature, oltre trecento studi empirici che dimostrano come le ‘norme’ effettivamente seguite in Paesi e Stati di culture differenti si perdono in abitudini ancestrali che risalgono nella notte dei tempi e sovente divergono da quelle ufficiali, appropriatamente legiferate.

La novità del lavoro di Guiso, Herrera e Morelli (il cui testo integrale può essere richiesto, a mio nome, a luigi.guiso@eief.it ) è che lo studio esamina, partendo da dati della World Value Survey, come ed in che misura le ‘norme’ culturali hanno effetti ed impatti sui risultati economici anche in un’area come un’unione economica e monetaria dove le regole sono uniformi. Lo studio esamina in dettaglio come tedeschi e greci rispondono a domanda su fiducia, lealtà, obblighi nei confronti della propria famiglia o del proprio Stato, rimborso di debiti contratti, osservanza di obblighi in generale e via discorrendo. Le differenze ‘culturali’, se molto marcate e molto profonde, agiscono come vincoli sulla politiche, e comportano spesso decisioni politiche sub-ottimali oppure impegni politici presi con la convinzione di non dare ad essi seguito.

Nel caso specifici della fiscal union europea, quale delineata nel Fiscal Compact,l’analisi la considera come uno strumento utile non tanto perché potrebbe alla lunga essere la strada per ‘garanzie comuni’ tramite trasferimenti all’interno dell’UE (eurobonds o simili), quanto perché sostituisce numerose autorità (con differenti ‘culture’ e, quindi, o paralizzate oppure in lite continua a ragione di ‘scontri culturali’) con un’unica autorità. Ciò faciliterebbe l’impegno a ‘convergere’ verso comportamenti analoghi e, quindi, politiche analoghi. In tal caso ‘quanto maggiori sono le differenze culturali tanto maggiori sono i benefici della fiscal union’

Sono molto meno ottimista di Guiso, Herrera e Morelli. In un articolo pubblicato ne La Rivista di Politica Economica e relativo specificatamente ai problemi del Mezzogiorno di fronte all’unione monetaria, sostenni che il Trattato di Maastricht implicava giochi ripetuti tra agenti economici sulla base delle stesse regole, giochi ad ultimatum, incentivi a basso e soprattutto ad alto potenziale (la irreversibilità della moneta unica) che avrebbe inciso (se non sui valori) sui comportamenti di individui, famiglie, imprese, pubbliche amministrazioni, ceto politico. I fatti mi hanno decisamente smentito.

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