IL CASO/
Salvare le Orchestre che rendono
Pubblicazione: mercoledì 26 marzo 2014
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Il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali, Dario
Franceschini, rientrato al lavoro dopo avere subito un serio problema di
salute, ha annunciato che riorganizzerà il dicastero e aprirà maggiormente il
finanziamento della cultura ai privati.
E’, al tempo stesso, una notizia e impegno importante.
Presentiamo subito una proposta: iniziare sostenendo, con contributi diretti e
sgravi tributari, alla Orchestra Sinfonica di Roma sino ad ora sostenuta quasi
interamente dalla Fondazione Roma, Arte – Musei. L’Orchestra ha ricevuto un
encomio dal Capo dello Stato, per quanto sta facendo per fare riscoprire il
repertorio sinfonico italiano, obliato per decenni. L’orchestra che ha un
programma di 30 concerti l’anno la domenica pomeriggio all’Auditorium di Via
della Conciliazione (ciascuno replicato il sabato sera) ed opera anche
incidendo l’integrale per due importanti case discografiche internazionali (la
Sony e la Naxos) – un progetto di lungo periodo ma per il quale l’orchestra ha
già preso 12 importanti premi internazionali.
L’orchestra, l’unica che non riceve alcun
finanziamento pubblico in Europa (è stata creata per iniziativa della
Fondazione Roma, Arte-Musei, che la sostiene) svolge non solo un
importantissimo compito culturale (specialmente nella riscoperta del patrimonio
sinfonico italiano), ma anche importanti attività sociali non solo tramite
concerti di beneficenza ma anche andando a suonare in ospedali e istituti di
detenzione e pena, sta incidendo l’integrale del sinfonismo italiano per due
importanti case discografiche internazionali (la Sony e la Naxos) – un progetto
di lungo periodo ma per il quale l’orchestra ha già preso 12 importanti premi
internazionali ed effettuato tournée in tutto il mondo.
La sua efficienza e qualità sono stati oggetto di uno
studio dell’Istituto Bruno Leoni. Pratica inoltre una politica di prezzi
diretta a favorire giovani e anziani pensionati; ha una vasta schiera di
abbonati. Dato che il supporto della Fondazione Roma sta diminuendo , è
essenziale che il dicastero intervenga.
I problemi del Ministero sono stati analizzati nel
volume di ASTRID I Beni Culturali tra tutela, Mercato e Territorio a cura di
Luigi Covatta, pubblicato nel 2012 da Passigli Editori. Le conclusioni sono
confermate (in modo ancora più drammatico, nel libro Il Governo della Cultura-
Promuovere lo Sviluppo e la Qualità Sociale di Walter Santagata pubblicato postumo
da Il Mulino nel febbraio 2014). Anche circa tre decenni fa quando interagivo
istituzionalmente con il MIBACT nella mia veste di direttore del nucleo di
valutazione degli investimenti pubblici del Ministero del Bilancio e della
Programmazione Economica, avevo la distinta impressione che il MIBAC non
brillasse per efficienza ed avesse serie difficoltà ad individuare come
valorizzare il patrimonio di beni culturali (in senso lato) della Nazione. La
mia esperienza al Consiglio Nazionale mi ha lasciato con la netta sensazione
che la situazione è peggiorata sia in raffronto con altre amministrazioni dello
Stato sia in termini assoluti.
Indicatore eloquente è la ventennale tendenza
del MIBACT di spendere raramente più del 44% delle somme destinategli per spese
in conto capitale sia per nuovi investimenti sia per manutenzione
straordinaria; misure specifiche per tentare di superare questo nodo approvate
all’unanimità dal Consiglio Nazionale e decretare dal Ministro
pro-tempore nel maggio 2009 non sono state mai attuate. Non solo l’apposita
unità di valutazione della spesa, creata nel MIBACT come in tutte la altre
amministrazioni, in base ad una normativa del 1999 ancora in vigore, è stata di
fatto smantellata circa dieci anni fa. Indicazioni tecnico-economiche specifiche
per la valutazione e la valorizzazione dei beni culturali, elaborate in seno
all’apposito comitato tecnico-scientifico per l’economia della cultura ed
approvate dal Consiglio Nazionale, non hanno dato corpo neanche ad una
circolare amministrativa agli uffici. Non ha avuto alcun seguito il tentativo
di mettere in atto programmi di formazione specifici (in valutazione e
valorizzazione dei beni culturali) o con la Scuola Superiore di Economia e
Finanza o con la Scuola Nazionale d’Amministrazione all’inizio di questo
decennio sulla falsariga di quelli organizzati alla Scuola Superiore della
Pubblica Amministrazione tra il 2000 e il 2005.
Esiste una vasta gamma di fattispecie per la
partecipazione tra operatori privati e le pubbliche amministrazioni (oltre al
Ministero le autonomie locali che, specialmente dopo la riforma del Titolo V
della Costituzione effettuata nel 2001 hanno vaste competenze in materia di
varie tipologie di beni culturali). Tali fattispecie, che includono specifiche
‘convenzioni di valorizzazione’ meriterebbero un’analisi approfondita da un
giurista specialista del ramo. Tuttavia, sono state utilizzate molto raramente,
e che sovente abbiamo dato luogo a polemiche (l’esempio più noto è quello degli
invertenti per il restauro del Colosseo) che hanno avuto l’effetto
collaterale di incoraggiarne la diffusione.
In molti Paesi, la leva utilizzata più di frequente
per incoraggiare i privati (imprese od individui) ad interventi di
valorizzazione dei beni culturali è quella tributaria. Negli ultimi anni, il
comitato tecnico-scientifico per l’economia della cultura del Ministero
(presieduto prima dal Prof. Walter Santagata e successivamente dall’autore di
questa nota) ha tentato di promuovere una razionalizzazione del settore ed un
suo graduale avvicinamento a sgravi fiscali allineati su quanto in vigore in
altri Stati dell’Unione Europea (UE)- ad esempio, in Francia le deduzioni dal
reddito imponibile raggiungono, per elargizioni finalizzate a certe attività
culturali le deduzioni raggiungono il 60% del reddito imponibile.
La normativa in atto in Italia è molto complessa e
prevede complicate procedure ; la Direzione Generale Valorizzazione del
Ministero ha di recente diramato un utile opuscolo per meglio illustrarla ai
potenziali interessati. Il suo cardine sono , tuttavia, detrazioni d’imposta
del 19%; l’incentivo , quindi, è destramente limitato per persone fisiche e
giuridiche sul sui reddito grava un tasso marginale d’imposta superiore al 19%
- ossia per quasi tutta la potenziale platea di interessati poiché è difficile
pensare che grandi numeri di persone fisiche o giuridiche a reddito basso
abbiamo la volontà e la capacità di effettuare elargizioni liberali per la
valorizzazione di beni culturali.
A riguardo, è utile fare riferimento ad un altro
aspetto non meno importante: in che misura, per path dependance od altre forma
di tradizione storico-culturale, gli italiani sono ‘disposti’ ad effettuare
elargizioni per la cultura e la sua valorizzazione . Un’analisi effettuata per
conto dell’Associazione ‘Civita’ dall’Università di Roma ‘La Sapienza’ nel 2009
– in collaborazione con il comitato tecnico-scientifico del MIBACT – concludeva
che gli italiani sono ‘disposti a donare’ ma ‘molto poco disposti a donare per
la cultura’In sintesi . ‘il 75% della popolazione italiana di età superiore ai
25 anni dichiara di aver effettuato almeno una donazione nel corso degli ultimi
tre anni. Ci troviamo di fronte ad un’ampia disponibilità a donare, con
particolare riferimento a ricerca medica (63%), aiuti di emergenza (57%) e
assistenza sociale (32%). Il dato delle donazioni a favore di arte e cultura si
attesta sul 5,6%.L’analisi dei risultati ci mostra una popolazione con una
spiccata sensibilità nei confronti della tematica della conservazione del
patrimonio artistico, buona fruitrice di mostre e/o musei nel corso dell’anno
(circa 1/3 ha visitato più di 3 mostre nel corso dell’ultimo anno), attiva nel
campo del volontariato (poco più del 34% aderisce ad associazioni), che
utilizza prevalentemente stampa e Internet per tenersi informata. ‘ Da allora,
la situazione non è mutata.
Forse, peggiorata a ragione degli effetti della crisi
economica su individui, famiglie ed imprese. Un recente (dicembre 203)documento
previsionale del Centro Studi Confindustria (intitolato ‘Cultura, Motore dello
Sviluppo) include una dovizia di dati e raffronti internazionali su come gli
italiani , pur affermando di dare alto valore a varie forme di cultura e pur
essendo coscienti della ricchezza del Paese in termini di heritage culturale,
poco partecipino alla stessa fruizione di cultura(visite a musei, a gallerie ,
a monumenti storici, a concerti, a spettacoli di opera e balletto) anche ove
fortemente sussidiati o gratuiti e poco del loro reddito spendano per consumi
culturali. Nel 2008, il Centro Studi Confindustria era giunto a conclusioni analoghe
nel Libro Bianco La Valorizzazione della Cultura tra Stato e Mercato.
Fatte queste premesse, una semplificazione della
normativa sarebbe indubbiamente di grande utilità. E’ stato proposto, in
analogia di quanto in vigore per il cinema, un credito d’imposta un credito
d'imposta nella misura del trenta per cento degli investimenti sostenuti da
persone giuridiche per la tutela, la conservazione e la promozione, anche
all’estero, dei beni culturali e paesaggistici La misura del 30 per cento è elevata
al quaranta per cento qualora i predetti investimenti siano stati effettuati da
persone fisiche ovvero da soggetti a queste equiparate dalla legislazione
tributaria in materia di imposizione sui redditi. Naturalmente, ci sarebbe un
‘tetto’ all’importo per il quale, per ciascun periodo d’imposta, si
beneficerebbe di credito d’imposta . Verrebbero, ovviamente, specificate, le
attività per le quali sarebbe ammesso il titolo d’imposta, le modalità per
ottenerlo ed i controlli. Proposte su queste linee sono formulate, a livello
tecnico, nelle ultime due Legislatura ma non hanno mai avuto attuazione
concreta. Non risulta che il Ministero abbia iniziato discussioni tecniche con
il Dipartimento Politiche Fiscali del MEF.
Un segnale importante immediato sarebbe una ‘rete di
sicurezza’ per la sinfonica romana (dimostrerebbe un chiaro orientamento a
favore delle attività culturali che rendono e che possono essere oggetto di
partnership tra pubblico e privato) e la riapertura del dossier sugli sgravi
tributari.
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