domenica 16 marzo 2014

Lirica, Kafka l’escluso riscopre la pietà nelle note contemporanee della Colasanti in Avvenire 16 marzo


Lirica, Kafka l’escluso riscopre la pietà nelle note contemporanee della Colasanti



GIUSEPPE PENNISI



FIRENSE
La metamorfosi abbia subito una vera e propria 'metamorfosi' passando dalla pagina scritta all’«opera della solitudine in tre parti» (un atto unico di novanta mi­nuti) da lei composto su libretto di Pier’Alli, il quale anche curato regia, scene, costumi, luci e video.

Come nel racconto di Kakfa, Gregorio Samsa, impiegato in una ditta commerciale, de­presso dall’arroganza dei su­periori e dalla solitudine, ma pur sempre principale fonte di supporto di una famiglia pic­colo borghese, una mattina al risveglio scopre di essere di­ventato un insetto di dimen­sioni umane ed in grado di parlare, ma con voce alterata.

In un primo momento, la famiglia – soprattut­to la madre – cerca di dargli sollievo. A poco a poco, tutti (anche i suoi cari) gli voltano le spal­le anche perché, dopo che è stato licenziato, tra­sformato l’appartamento in una pensione, i lo­ro clienti scappano alla vista del 'mostro', il quale pur trova sollievo nella musica. Viene chiuso in una stanza dove gli viene portato ci­bo, che rifiuta. Sino a morire d’inedia. Ed esse­re gettato nella spazzatura. In Kafka questo qua­dro crudele non ha spiragli di speranza. Nel la­voro di Colasanti e Pier’Alli, c’è un velo di pietà, non solo da parte delle madre, per un Gregorio sempre più isolato ed escluso. Una pietà mo­strata non solo dell’amore del 'mostro' per la musica, ma da una scrittura orchestrale e vocale che, pur modernissima, non rifugge a stilemi del Novecento e della stessa musica sacra. Tra i primi, il declamato (a tratti melologo) scivola in ariosi, in duetti e terzetti ed an­che concertati, nonché in pre­ziosi intermezzi colmi di me­lanconia. La scrittura, fram­mentata e continuamente riassemblata in momenti liri­ci, ricorda quella di Leoš Janá­cek. Tra i secondi basti pensa­re al coro quasi 'a cappella' (in quanto amplificato e con un delicato accompagnamento musicale).



Marco Angius concerta un en­semble di una dozzina di solisti, che nel picco­lo ma acusticamente perfetto Teatro Goldoni di Firenze, raggiungono, specialmente nelle dis­sonanze sonorità straussiane. Sette i solisti vo­cali cui aggiungere un attore ed un danzatore. Un’équipe ben affiatata dove spiccano Roberto Abbondanza (il padre) e Gabriella Sborgi (la ma­dre). Spettacolo di grande emozione da cui si e­sce con grande pietà per gli esclusi.



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