Lirica, Kafka l’escluso
riscopre la pietà nelle note contemporanee della Colasanti
GIUSEPPE PENNISI
FIRENSE
La metamorfosi abbia subito una vera e propria 'metamorfosi' passando dalla pagina scritta all’«opera della solitudine in tre parti» (un atto unico di novanta minuti) da lei composto su libretto di Pier’Alli, il quale anche curato regia, scene, costumi, luci e video.
Come nel racconto di Kakfa, Gregorio Samsa, impiegato in una ditta commerciale, depresso dall’arroganza dei superiori e dalla solitudine, ma pur sempre principale fonte di supporto di una famiglia piccolo borghese, una mattina al risveglio scopre di essere diventato un insetto di dimensioni umane ed in grado di parlare, ma con voce alterata.
In un primo momento, la famiglia – soprattutto la madre – cerca di dargli sollievo. A poco a poco, tutti (anche i suoi cari) gli voltano le spalle anche perché, dopo che è stato licenziato, trasformato l’appartamento in una pensione, i loro clienti scappano alla vista del 'mostro', il quale pur trova sollievo nella musica. Viene chiuso in una stanza dove gli viene portato cibo, che rifiuta. Sino a morire d’inedia. Ed essere gettato nella spazzatura. In Kafka questo quadro crudele non ha spiragli di speranza. Nel lavoro di Colasanti e Pier’Alli, c’è un velo di pietà, non solo da parte delle madre, per un Gregorio sempre più isolato ed escluso. Una pietà mostrata non solo dell’amore del 'mostro' per la musica, ma da una scrittura orchestrale e vocale che, pur modernissima, non rifugge a stilemi del Novecento e della stessa musica sacra. Tra i primi, il declamato (a tratti melologo) scivola in ariosi, in duetti e terzetti ed anche concertati, nonché in preziosi intermezzi colmi di melanconia. La scrittura, frammentata e continuamente riassemblata in momenti lirici, ricorda quella di Leoš Janácek. Tra i secondi basti pensare al coro quasi 'a cappella' (in quanto amplificato e con un delicato accompagnamento musicale).
Marco Angius concerta un ensemble di una dozzina di solisti, che nel piccolo ma acusticamente perfetto Teatro Goldoni di Firenze, raggiungono, specialmente nelle dissonanze sonorità straussiane. Sette i solisti vocali cui aggiungere un attore ed un danzatore. Un’équipe ben affiatata dove spiccano Roberto Abbondanza (il padre) e Gabriella Sborgi (la madre). Spettacolo di grande emozione da cui si esce con grande pietà per gli esclusi.
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