giovedì 20 marzo 2014

Karlsruhe, 78 pagine per 'blindare' anche il Fiscal Compact in Avvenire 20 marzo



Karlsruhe, 78 pagine per 'blindare' anche il Fiscal Compact


GIUSEPPE PENNISI
L
a sentenza letta il 18 marzo a Karlsruhe dai giudici rosso togati della Corte costituzio­nale tedesca è un documento di 78 pagine in lessico giuridico molto tecnico che ha una por­tata ben superiore a quanto indicano le cronache basate su dispacci di agenzia. Infatti, non rispon­de solamente al quesito posto dai ricorrenti sulla legittimità, in base al diritto della Repubblica Fe­derale Tedesca, degli accordi con cui è stata sta­bilito l’European stability mechanism (Esm): i 700 miliardi di euro, versati dagli Stati dell’Eurozona, conosciuti in lessico giornalistico come Fondo salva Stati.

La sentenza ripercorre meticolosamente il per­corso che ha portato dal Trattato di Maastricht ad altri accordi, sotto forma di protocolli interpreta­tivi o di intese interstatuali (che in certi casi non richiedono ratifiche parlamentari o, in certi Sta­ti, referendum). In tal modo, facendo riferimenti puntuali a quelli che possiamo chiamare gli atti fondamentali dell’Unione monetaria, la senten­za dei giudici non trova che i nuovi accordi con­traddicano o si distanzino da quanto stabilito e ra­tificato dal Parlamento tedesco, all’inizio del cam­mino verso l’euro. La sentenza pone un accento particolare sul Fiscal Compact in quanto, in Ger­mania, il ricorso contro il Fondo salva Stati è da leggersi, sotto il profilo politico, come un nuovo tentativo di mettere in dubbio la costituzionalità dell’accordo sulle politiche di bilancio.

Esaminare in dettaglio il ragionamento giuridico della Corte è compito di riviste scientifiche di di­ritto europeo. Numerosi giuristi risponderan­no all’invito. Senza dubbio, nei prossimi mesi si svilupperà un dibattito molto accesso.

A noi, e ai lettori di quotidiani, interessa soprat­tutto esaminare il significato politico ed econo­mico della sentenza, le strade che apre ed anche quelle che chiude. In primo luogo, mette un pun­to fermo nelle discussioni sull’opportunità o me­no di aggiornare il Trattato di Maastricht, a circa 25 anni dal negoziato. Il confronto è tra un cam­biamento 'a spizzichi e bocconi' o, invece, l’ini­zio di una nuova grande trattativa per riscrivere tutto da cima a fondo e successivamente sotto­porre il prodotto a ratifica o, ove necessario, a re­ferendum. Su questo punto, la sentenza è chiara: una riscrittura del Trattato non è giuridicamen­te necessaria sino a quando si resta nel suo al­veo. Può, però, essere politicamente opportuna per evitare l’accavallarsi di norme (in lessico gior­nalistico, si tratterebbe di fare 'un testo unico' piuttosto che un nuovo Trattato). Sotto il profilo politico, è una porta, quindi, che si apre.

Nell’euforia dei commenti sulla sentenza, non si deve evitare poi di vedere che essa chiude l’op­zione di rivedere il Fiscal Compact o di dare ad es­so interpretazioni lasche per avere deroghe in ma­teria di rapporto indebitamento netto e Pil e di ri­duzione dello stock di debito pubblico. Al con­trario, la costituzionalità del Fondo salva Stati è giustificata nella sentenza proprio grazie al rigo­re del Fiscal Compact. Per chi ha un forte debito rispetto al Pil, la strada resta stretta e in salita.


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