sabato 1 marzo 2014

Le obbligazioni «mignon» per la ripresa in Avvenire 2 marzo

Le obbligazioni «mignon» per la ripresa


GIUSEPPE PENNISI
N
ella galassia delle sigle della politica eco­nomica italiana sta prendendo corpo un neologismo che sino a qualche anno fa sembrava una parolaccia: 'minibond'. Si tratta di obbligazioni per fornire capitale a piccole e medie imprese che sono prive delle caratteristi­che per essere quotate in Borsa o che, pur se quo­tate, vogliono (o devono) fare ricorso non solo a capitale di rischio o al risparmio in cerca di ren­dimenti sicuri. Secondo le stime di alcune a­ziende, ci sarebbe un mercato di circa 100 mi­liardi di euro per i minibond, principalmente in quanto il credito bancario si è in gran misura es­siccato. La domanda di minibond sarebbe par­ticolarmente forte nei 'distretti' dell’Italia cen­trale, dalla espansione della cui produzione in­dustriale dipende in gran misura il nostro export. Perché minibond sono stati per una diecina d’an­ni un termine da non pronunciare, nei salotti del­la finanza? Il vocabolo è stato coniato nel 2004 dal­la sussidiaria di Lehman Brothers a Hong Kong per denominare uno strumento finanziario mol­to sofisticato : una nota di credito con obbliga­zioni collateralizzate 'sintetiche' (quindi molto rischiose). La loro emissione venne autorizzata dall’autorità monetaria di Hong Kong dopo un lungo dibattito. In effetti il sottostante era così 'sintetico' da rendere impossibile stimarne, an­che approssimativamente, il valore. Molto ban­che vennero attratte dallo strumento, con perdi­te pesanti. Dato che , a loro volte, le banche le collocarono al dettaglio, circa 40.000 risparmia­tori (per lo più pensionati) ci rimisero le penne.

Non è certamente questo lo strumento che do­vrebbe diventare una freccia dell’arco della co­siddetta Matteonomics. Uno studio dell’Università Bocconi delinea un sistema semplice e ben regolato per colmare il di­vario tra domanda ed offerta di finanziamento al­le imprese: obbligazioni emesse da piccole e me­die imprese , o da loro consorzi, possono essere appetibili per investitori istituzionali (come i fon­di pensione). A conclusioni analoghe è arrivato uno studio di Goldman Sachs pubblicato a fine gennaio. Segnali positivi anche dalla Banca d’I­talia.

Ciò non vuol dire che i minibond saranno all’or­dine del giorno della politica nei prossimi gior­ni. C’è ancora molto lavoro da fare. Non solo in tema di finanziamento non-bancario alle im­prese ma che sull’argomento, spinosissimo, di cosa fare con le sofferenze degli istituti o dell’i­stituzione di una o più bad bank.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Nessun commento: