Le
obbligazioni «mignon» per la ripresa
GIUSEPPE PENNISI
Nella galassia delle sigle della politica economica italiana sta prendendo corpo un neologismo che sino a qualche anno fa sembrava una parolaccia: 'minibond'. Si tratta di obbligazioni per fornire capitale a piccole e medie imprese che sono prive delle caratteristiche per essere quotate in Borsa o che, pur se quotate, vogliono (o devono) fare ricorso non solo a capitale di rischio o al risparmio in cerca di rendimenti sicuri. Secondo le stime di alcune aziende, ci sarebbe un mercato di circa 100 miliardi di euro per i minibond, principalmente in quanto il credito bancario si è in gran misura essiccato. La domanda di minibond sarebbe particolarmente forte nei 'distretti' dell’Italia centrale, dalla espansione della cui produzione industriale dipende in gran misura il nostro export. Perché minibond sono stati per una diecina d’anni un termine da non pronunciare, nei salotti della finanza? Il vocabolo è stato coniato nel 2004 dalla sussidiaria di Lehman Brothers a Hong Kong per denominare uno strumento finanziario molto sofisticato : una nota di credito con obbligazioni collateralizzate 'sintetiche' (quindi molto rischiose). La loro emissione venne autorizzata dall’autorità monetaria di Hong Kong dopo un lungo dibattito. In effetti il sottostante era così 'sintetico' da rendere impossibile stimarne, anche approssimativamente, il valore. Molto banche vennero attratte dallo strumento, con perdite pesanti. Dato che , a loro volte, le banche le collocarono al dettaglio, circa 40.000 risparmiatori (per lo più pensionati) ci rimisero le penne.
Non è certamente questo lo strumento che dovrebbe diventare una freccia dell’arco della cosiddetta Matteonomics. Uno studio dell’Università Bocconi delinea un sistema semplice e ben regolato per colmare il divario tra domanda ed offerta di finanziamento alle imprese: obbligazioni emesse da piccole e medie imprese , o da loro consorzi, possono essere appetibili per investitori istituzionali (come i fondi pensione). A conclusioni analoghe è arrivato uno studio di Goldman Sachs pubblicato a fine gennaio. Segnali positivi anche dalla Banca d’Italia.
Ciò non vuol dire che i minibond saranno all’ordine del giorno della politica nei prossimi giorni. C’è ancora molto lavoro da fare. Non solo in tema di finanziamento non-bancario alle imprese ma che sull’argomento, spinosissimo, di cosa fare con le sofferenze degli istituti o dell’istituzione di una o più bad bank.
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