Bce, ecco perché
la sentenza della Corte tedesca deve preoccupare l’Italia
La sentenza della Corte costituzionale tedesca,
chiamata ad esprimersi sul piano di intervento sul mercato dei titoli di Stato,
l'Omt (Outright Monetary Transactions) della Bce, è così analizzata
dall'economista Giuseppe Pennisi
La sentenza della Corte costituzionale tedesca,
chiamata ad esprimersi sul piano di intervento sul mercato dei titoli di Stato,
l’Omt (Outright Monetary Transactions) della Bce, ha diviso
esperti e opinione pubblica.
Secondo il sito economico LaVoce.info le reazioni principali sono state due. “C’è
chi ha esultato per le sorti dell’euro, basandosi sul fatto
che la Corte tedesca ha rinviato la decisione alla Corte di Giustizia europea,
che secondo le previsioni darà un verdetto favorevole al piano della Bce e
chi, soprattutto in Germania, ha esultato per il motivo opposto: la Corte
avrebbe dato ragione ai detrattori del programma Omt, i quali sostengono che
esso è illegale“.
Al di là delle divergenze di valutazione, tutti
concordano sulla valenza storica della sentenza letta il 18 marzo
scorso a Karlsruhe.
Un documento di 78 pagine in lessico giuridico molto tecnico che – rileva l’economista Giuseppe Pennisi – ha “una portata ben superiore a quanto indicano le cronache basate su dispacci di agenzia“.
Un documento di 78 pagine in lessico giuridico molto tecnico che – rileva l’economista Giuseppe Pennisi – ha “una portata ben superiore a quanto indicano le cronache basate su dispacci di agenzia“.
Il motivo risiede nel fatto che tale sentenza, non
risponderebbe solamente al quesito posto dai ricorrenti sulla legittimità, in
base al diritto della Repubblica Federale Tedesca, degli accordi con cui è
stata stabilito l’European stability mechanism (Esm): i 700 miliardi
di euro, versati dagli Stati dell’Eurozona, conosciuti in lessico
giornalistico come Fondo salva Stati e sul già citato Omt.
Per Pennisi, che va oltre tale lettura, “il
significato politico ed economico della sentenza è nelle strade che apre ed
anche quelle che chiude“.
In primo luogo,
analizza l’economista, “mette un punto fermo nelle discussioni
sull’opportunità o meno di aggiornare il Trattato di Maastricht, a circa 25
anni dal negoziato“.
Il confronto è tra un cambiamento “a spizzichi
e bocconi” o, invece, l’inizio di una nuova grande trattativa per riscrivere
tutto da cima a fondo e successivamente sottoporre il prodotto a ratifica o,
ove necessario, a referendum.
Su questo punto, spiega Pennisi, “la sentenza è
chiara“: una riscrittura del Trattato “non è giuridicamente
necessaria sino a quando si resta nel suo alveo“. Può, però,
aggiunge, “essere politicamente opportuna per evitare l’accavallarsi
di norme (in lessico giornalistico, si tratterebbe di fare “un testo unico”
piuttosto che un nuovo Trattato). Sotto il profilo politico, è una porta,
quindi, che si apre“.
Nell’euforia dei commenti sulla sentenza, non si deve
– a parere dell’economista – evitare poi di vedere che essa “chiude l’opzione
di rivedere il Fiscal Compact o di dare ad esso interpretazioni
lasche per avere deroghe in materia di rapporto indebitamento netto e Pil e di
riduzione dello stock di debito pubblico“. Al contrario, la costituzionalità
del Fondo salva Stati “è giustificata nella sentenza proprio grazie al rigore
del Fiscal Compact“. Per chi ha un forte debito rispetto al Pil, la strada
resta stretta e in salita, con soddisfazione di Berlino, meno dei Paesi
periferici dell’Unione europea.
La sentenza ripercorre poi meticolosamente il percorso
che ha portato dal Trattato di Maastricht ad altri accordi, sotto forma di
protocolli interpretativi o di intese interstatuali (che in certi casi non
richiedono ratifiche parlamentari o, in certi Stati, referendum).
In tal modo, facendo riferimenti puntuali a
quelli che possiamo chiamare gli atti fondamentali dell’Unione monetaria,
conclude Pennisi, “la sentenza dei giudici non trova che i nuovi accordi
contraddicano o si distanzino da quanto stabilito e ratificato dal Parlamento
tedesco, all’inizio del cammino verso l’euro. La sentenza pone un accento
particolare sul Fiscal Compact in quanto, in Germania, il ricorso contro il
Fondo salva Stati è da leggersi, sotto il profilo politico, come un nuovo
tentativo di mettere in dubbio la costituzionalità dell’accordo sulle
politiche di bilancio“.
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