Due, tre cose che non si sanno del Cnel
Dato che sono
in Francia per lavoro, mi viene
spontaneo parafrasare il titolo di vecchio film di Jean-Luc Godard per dire non “Le due-tre cose che so di lei” ma le
due-tre cose che non si sanno del CNEL
di cui il presidente del Consiglio ha proposto al Parlamento la soppressione
con legge costituzionale.
Sono consigliere del CNEL dal 2010 ed
ho fatto una certa esperienza di una conciliatura tormentata. Prima di parlare
della funzione del CNEL, di quello che ha fatto e di quello che potrebbe fare
(se i suoi componenti fossero scelti più oculatamente) credo sia opportuno fare
alcune precisioni.
In primo luogo, non sono al corrente
di alcuna lettera in cui le parti sociali “sfiduciano il presidente (ammesso
che la normativa preveda tale procedura di sfiducia). Sono stato informato da
una collega di una lettera inviata da alcuni consiglieri – incontratisi per
caso (e al di fuori di un contesto istituzionale) – al presidente in cui si
chiedeva che, in questa delicata fase, le parti sociali ai più alti livelli
trattino con gli organi politici. Ho poi avuto copia di una lettera scritta
d’impulso (data la sintassi!) in cui si mettevano sotto accusa due capi di
Stato (Ciampi e Napolitano) per le scelte fatte in materia di presidente del
CNEL e dei consiglieri di diretta nomina presidenziale. Ho risposto con un
catanese “Calma, pace, tranquillità” pensando che la lettera fosse verdianamente
frutto di bollenti spiriti e giovanili ardori. In fasi di difficoltà, si tende
a cercare capri espiatori invece che a guardare ai propri comportamenti.
In interventi precedenti, ho sostento
che il CNEL richiede una riforma e che il testo su cui sta lavorando il collega
Tiziano Treu è un’ottima base
per fare sì che le parti sociali abbiano un efficiente ed efficace “casa
comune”. Ciò comporta, in primo luogo, che tutte le parti sociali scelgano bene
le loro “delegazioni”, non considerino un organo di rilevanza costituzionale
come una pensione “integrativa”, partecipino attivamente e non si limitino ad
intascare i 25mila euro lordi l’anno di prebenda (arrotondano con missioni qua
e là) e non chiedano di essere supportati da consulenti ogni volta che devono
scrivere due pagine. Ed evitino consulenti, forse “amici degli amici”, che
confondano, in elaborati scritti, il tasso di sconto con il tasso di interesse
(sic!). Tale malcostume è all’attenzione della Corte dei Conti e mi ha spesso
indotto a votare, in minoranza, contro incarichi di consulenza che ritenevo
inutili. Ciò comporta anche una composizione del CNEL che rifletta una società
ed un mondo del lavoro differente da quello di cinquanta anni fa ed in cui ora
alcune categorie rappresentano principalmente pensionati. Ciò comporta un CNEL
i cui pareri siano “obbligatori”, anche se non vincolanti, per Governo e
Parlamento.
Il CNEL è organo costituzionale
deputato a fornire alta consulenza al Governo e al Parlamento ed è altresì
organo di proposta legislativa. È organo ausiliario al pari del Consiglio di
Stato e della Corte dei Conti, pur nella sua peculiarità. Il provvedimento di
soppressione annunciato giunge in un momento storico in cui cresce il numero
dei CNEL nel mondo (oggi presenti in circa settanta Paesi, di cui 22 europei).
Ciò che si pone in discussione è l’utilità della concertazione e della
rappresentanza dei corpi sociali intermedi, aspetto essenziale, secondo
Maritain (a cui il presidente del Consiglio, di cultura cattolica, dice di ispirarsi)
della democrazia economica, ed in particolare della “democrazia sociale di
mercato”. Il presidente Renzi deve chiedersi se la coesione sociale è o non è
un elemento fondamentale per lo sviluppo del Paese e se un CNEL riformato e con
consiglieri all’altezza della situazione (piuttosto che assenteisti o alla
assillante ricerca di consulenti) possa svolgere questo compito a costi
contenuti.
Da economista valuto che la funzione
di produzione del CNEL costa meno di 800mila euro l’anno e potrebbe arrivare ad
appena 500mila euro l’anno se si ponesse fine alle consulenze ed i consiglieri
del CNEL facessero il lavoro in proprio, aiutati dallo staff del CNEL e
venissero scelti con questi obiettivi in mente. Si tenga presente che lo staff
del CNEL (circa 80 persone) resterebbe sempre a carico dello Stato anche se
rilocato altrove nella pubblica amministrazione.
Per avere un’indicazione dei benefici,
si tenga presente che in questa conciliatura, il CNEL ha, tra altro, a) seguito le trasformazioni del
mercato del lavoro con indagini annuali svolte con le presidenze del Senato e
della Camera – alle analisi sul “Il lavoro che cambia” sono state accompagnate
quelle su “L’impresa che cambia”; b)
ha formulato proposte puntuali in materia di politica industriale e di parametri
e criteri di valutazione della spesa pubblica che hanno incontrato l’interesse
dei ministeri dell’Economia e delle Finanze nonché dello Sviluppo economico; c) ha contribuito alla formulazione
degli indicatori della qualità della vita, compito svolto insieme all’ISTAT,
una svolta metodologica fondamentale per la politica economica, perché vale a
rappresentare a Governo e Parlamento quali siano i problemi avvertiti dalla
società civile e sui quali essi dovrebbero intervenire; d) gli Osservatori CNEL dedicati alla criminalità economica e alla
integrazione degli immigrati, hanno costituito base di importanti provvedimenti
assunti in materia; il problema della esclusione dei giovani derivante
dall’alta disoccupazione che li affligge e dalle deboli speranze che essi
nutrono nella ricerca di un ruolo nella società; e) le analisi e le proposte in materia di efficienza della
pubblica amministrazione, che tra qualche giorno troverà ulteriore espressione
nella Conferenza prevista dalla Legge cosiddetta “Brunetta”; f) le iniziative prese in materia di
Smart cities, incentrate sulla importanza ed efficienza delle nostre città come
distretti produttivi e distretti sociali nel Paese dei 100 campanili; g) il contributo in materia di
riconoscimento delle nuove professioni: giacché cambia il lavoro, cambia
l’impresa, ma anche cambia il terziario; h) le proposte di legge del CNEL in materia di statistiche di
genere (e le connesse iniziative sfociate nella convocazione annuale degli
Stati generali delle donne) in un momento in cui l’importanza delle pari
opportunità è sotto gli occhi di tutti (o quasi), quella di riforma dei
procedimenti tributari (recepita nella specifica legge delega); la proposta di
riforma del bilancio dello Stato nella direzione del bilancio di cassa; i) il ruolo internazionale del CNEL
riconosciuto con l’assegnazione all’Italia della Presidenza dell’Aicesis
(l’associazione che riunisce tutti i CNEL del mondo); l) il riconoscimento della attività di alta consulenza del CNEL
nelle numerose leggi che gli hanno attribuito competenze in varie materie, nei
numerosi accordi di collaborazione stipulati sia con i ministeri (Lavoro,
Affari Esteri, Gioventù, Giustizia, Interno) sia con istituzioni di grande
rilevanza come la Corte dei Conti, ISTAT, CNR, Isfol, Aran, Autorità garante
infanzia ed adolescenza, solo per citarne alcune; m) le molteplici audizioni e documenti di osservazioni e proposte
che il CNEL ha formulato (circa 1000) in occasione delle quali le posizioni
espresse hanno ispirato leggi dello Stato o atti parlamentari: un dato questo
pressoché sconosciuto; le iniziative nel terzo settore, che a sua volta si
trasforma, e in particolare sulla responsabilità sociale delle imprese.
Questo elenco non è esaustivo. È bene
che il Presidente del Consiglio, in primo luogo, ed il Parlamento, vengano
adeguatamente informati sui costi e sui benefici del CNEL e sulle implicazioni
della sua soppressione per l’economia sociale di mercato a cui questo Governo
afferma di ispirarsi. Il CNEL è strumento vitale per la Matteonomics. È
essenziale che il presidente del Consiglio venga informato bene da chi non ha
interessi di parte. E dai non necessita una doccia fredda ed un Tavor da 2,5
milligrammi per non andare in escandescenze e scrivere pacatamente.
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