PRIVATIZZAZIONI/
Il "Governo dei sindaci" le mette in soffitta
Pubblicazione: lunedì 31 marzo 2014
Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan (Infophoto)
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NEWS Economia e Finanza
Il 17 febbraio su queste pagine abbiamo
visto come man mano che passavano i mesi la stima di quanto si sarebbe
privatizzato nel 2014 si restringeva. A fronte di un programma di circa 20
miliardi presentato il 21 novembre 2013 (e di un programma di almeno 60
miliardi delineato in uno studio di Glocus e dell’Istituto Bruno Leoni),
all’inizio di febbraio 2014 (ossia poco prima che il Governo Letta venisse
rimpiazzato dal Governo Renzi), l’allora ministro dell’Economia e delle Finanze
Fabrizio Saccomanni ha ridotto la stima a 8 miliardi. In una recente occasione
pubblica, suo successore, Pier Carlo Padoan, ha detto che si può fare di più,
ha parlato di cessioni di quote di Enel ed Eni, nonché di Fincantieri. Non ha
azzardato alcuna stima quantitativa. Non ha neanche indicato se lo Stato cederà
a privati lo scettro della gestione delle holding menzionate; difficile parlare
di privatizzazioni se la stanza dei bottoni continua a essere al Ministero
dell’Economia e delle Finanze (MEF).
Siamo comunque ben lontani dalle stime di novembre
2013 secondo cui le prime dismissioni avrebbero riguardato una partecipazione non
di controllo di Poste Italiane ed Enav (deliberata il 24 gennaio 2014 dal
Consiglio dei Ministri) a cui avrebbero fatto seguito, nei prossimi mesi,
quelle di Sace e Grandi Stazioni (partecipata al 59,99% dalle Ferrovie
dello Stato Italiane) e quote non di maggioranza di Stm, Fincantieri e Cdp
Reti, nonché di Eni. Non solo l’ammontare è non determinato, e siamo già nel
secondo trimestre dell’anno, ma l’ampiezza di cosa privatizzare è molto più
modesta di quanto anticipato alcuni mesi fa.
Nel frattempo, come noto, la Banca centrale cinese ha
acquistato quote di Eni ed Enel. Gli investimenti esteri sono benvenuti
(soprattutto all’Enel che un significativo indebitamento e per cui l’arrivo di
partner stranieri può rappresentare un aumento della base patrimoniale). Non
credo, però, che si possano considerare privatizzazioni l’ingresso di un socio
“pubblicissimo” come la Banca centrale cinese nell’azionariato di due delle
maggiori partecipate del MEF.
A questo punto occorre chiedersi cosa ostacola le
privatizzazioni in un Governo che vorrebbe essere all’insegna di un drastico
rinnovamento, il quale non potrà avvenire se non si “destatalizza” tutto ciò
che è “destatalizzabile”. Il ministro dell’Economia e delle Finanze, Pier Carlo
Padoan, è un economista di vaglio e, per quanto vanti una tradizione culturale
di sinistra, negli ultimi dieci anni (al Fondo monetario, all’Ocse e alla
direzione della Fondazione Italiani-Europei) si è sempre mostrato favorevole a
privatizzare quanto privatizzabile. Pare, però, isolato all’interno di un
Governo in cui le privatizzazioni non sembrano essere a un posto elevato
nell’agenda delle cose da fare.
Quali le ragioni? C’è certamente un aspetto
generazionale: il sessantaquattrenne Padoan è distante da chi vuole marcare un
cambiamento generazionale nella classe politica. O è da suoi più giovani
colleghi considerato lontano, appartenente a una classe di età che comunque ha
fatto il suo tempo, È noto che è stato accettato nell’Esecutivo principalmente
per il prestigio internazionale di cui gode e le relazioni internazionali che
ha costruito in quaranta anni di una vita accademica e professionale che lo ho
portato in tutto il mondo.
C’è, pero, un aspetto più sottile e poco analizzato.
Non è la prima volta in Italia che avviene un brusco cambiamento generazionale
nella classe dirigente politica. È però la prima che nelle “stanze dei bottoni”
ci sono politici la cui esperienza è stata fatta non tanto nei partiti
nazionali (in gran misura liquefattisi negli ultimi vent’anni) ma nelle amministrazioni
locali. Quello presieduto da Matteo Renzi è il primo “Governo dei Sindaci”
dall’Unità d’Italia. I suoi protagonisti portano esperienze, e quindi ottiche,
molto differenti da quelle di chi ha fatto un “cursus honorum” a livello
nazionale nei partiti.
Il “Governo dei Sindaci” porta con sé la cultura del
“capitalismo”, o del “socialismo” (è solo una questione nominalistica),
municipale e regionale - che rappresenta l’1% del Pil nazionale ma in alcune
Regioni rappresenta il 6% del Pil prodotto in loco. Anche se paludati studi
della Bocconi e della Sapienza ne hanno messo a nudo distorsioni e
inefficienze, esponenti di spicco del “Governo dei Sindaci” hanno contribuito,
in buona fede, a costruirne i blocchi essenziali. Con un entusiasmo simile a
quello che, in età giolittiana, animava Giovanni Montemartini, assessore a Roma
quando era sindaco Ernesto Nathan, e autore di un libro sulle municipalizzate
che si studia ancora (nelle università americane, piuttosto che in quelle
italiane).
Le privatizzazioni non si addicono a un contesto del
genere. E il buon e bravo Pier Carlo Padoan (considerato comunque un “matusa”
da molti di coloro che siedono con lui al tavolo del Consiglio dei Ministri) è
un pesce fuor d’acqua. Tanto quanto le “denazionalizzazioni”.
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