Dopo “Giovanna d’Arco” al Regio di Parma ed una serie di repliche del “Nabucco” nelll’elegante, e spazioso, “Romolo Valli” di Reggio Emilia (in un’edizione adattata da un allestimento di Daniele Abbado già visto a Ferrara 11 anni fa), nell’ambito del Festival Verdi 2008, al piccolo e delizioso teatro di Busseto arriva una chicca:“Il Corsaro”, opera che di poco precede la “trilogia popolare” (“Rigoletto”, “Trovatore”, “Traviata”). Ebbe successo tra il 1848 (data della prima a Trieste) ed il 1861 in vari teatri europei , per sparire sino a quando venne ripresa, in edizione da concerto, nel cortile del Palazzo Ducale di Venezia per solo due esecuzioni nel 1963. Da allora, rare le rappresentazioni in Italia mentre la si incontra abbastanza spesso nei cartelloni tedeschi ed americani ed è in repertorio a Budapest. Si può vedere ed ascoltare a Busseto sino al 27 ottobre, ma già si annuncia una tournée anche internazionale.
Tratto da un romanzo in versi di Byron, “Il Corsaro” ha poco o nulla del fervore patriottico che pare animasse Verdi in quel periodo. Nel testo del poeta inglese, il protagonista Conrad (Corrado nel libretto italiano), è un introverso; a capo (forse controvoglia) sì di corsari che difendono i mari dalle escursioni degli ottomani sulle coste europee, e preso soprattutto da meste riflessioni sul significato dell’esistenza in un mondo senza speranza. In Verdi siamo invece in un puro teatro d’avventura sulla stregua di film ormai d’epoca come “Il Corsaro dell’Isola Verde”. Il bel Corrado è amato da due donne, Medora e Gulnara. La seconda è la favorita del crudele, e sadico, Pascià Seid. Corrado tenta di bloccare, con uno stratagemma (si traveste da Derviscio), le scorrerie di Seid e dei suoi in terre cristiane, ma è preso prigioniero e condannato a morte lenta tramite atroci torture. Gulnara lo aiuta a fuggire (la fanciulla ne approfitta anche per accoltellare Seid nel sonno e pentirsi di essere una peccatrice omicida) ed a tornare sulle sue spiagge, dove però Medora, sapendolo morto, sta spirando avvelenata. Byroniamente, Corrado si suicida buttandosi in mare. La partitura – attenzione- è l’ultima di un certo tipo d’opera verdiana ma anticipa alcuni tratti del “Trovatore”.
La regia di Lamberto Puggelli , le funzionali scene di Marco Capuana ed i bei costumi di Vera Marzot rendono questo “feuilleton” un veloce romanzo d’avventure, con un ritmo quasi cinematografico e con alcuni dettagli osé (quali gli amori saffici nell’harem del Pascià). C’è un pizzico d’ironia nel veloce spettacolo dove l’ambientazione pare in un esagerato technicolor Anni 20, dove qualsiasi elemento è più colorito del normale.
L’orchestrazione è semplice e si confà a Carlo Montanaro che abbiamo visto in difficoltà con scritture orchestrali più complesse. Viene, soprattutto, data un’opportunità ad un cast di giovani in gran misura debuttanti. Bruno Ribeira è un tenore portoghese che per la prima volta affronta un ruolo non facile: ha un timbro chiaro, un fraseggio perfetto, sa “spingere” senza mostrare alcuno sforzo anche dando di scherma e correndo su e giù sulla tolda delle navi (omnipresenti nell’opera). E’ anche un bel ragazzo, come previsto dal libretto. Merita di essere seguito con attenzione; se non strafa, e non affronta ruoli a lui non adatti, potrà essere uno dei tenori verdiani importanti dei prossimi anni. Occorre segnalare un’altra giovane al debutto: Silvia Della Benetta nel ruolo di una piacente Gulnara. Il baritono Luca Salsi (Seid) funziona bene al centro ma ha difficoltà con gli acuti. Irina Lungu (Medora) è sempre bella ma è stata, la sera in cui la ho ascoltata, vocalmente al di sotto delle aspettative.
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