Nei Palazzi, si sta discutendo proprio in queste ore se l’Italia debba seguire la Francia e costituire “un fondo sovrano” per sostenere, temporaneamente, banche ed imprese in difficoltà a ragione della crisi finanziaria. Verosimilmente, la decisione sarà presa dal Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, appena rientrato dalla Cina.
Per contribuire al dibattito, occorre spiegare cosa è un “fondo sovrano” ed in cosa il fondo francese e quello, eventualmente, italiano si distinguerebbero dai più noti “fondi sovrani” dei Paesi esportatori di petrolio ed emergenti (come India e Cina). I “fondi sovrani” sono nati negli Anni 70 (sono stato associato alla messa a punto di alcuni di tali fondi poiché allora ero dirigente in Banca mondiale) per investire all’estero le riserve di petrodollari che, dopo il forte aumento dei prezzi dell’oro nero, i Paesi esportatori di greggio non riuscivano ad assorbire al loro interno. Sono quasi tutti nazionali. Ne esistono di multilaterali: di questi ultimi, il più importante ha, da 30 anni, sede a via del Serafico a Roma- l’Ifad (finanziato in gran misura dai petrodollari e con la missione di aiutare i coltivatori diretti dei Paesi a basso reddito). Negli Anni 90 e nel primo lustro di questo secolo, i “fondi sovrani” asiatici (e non solo) hanno dato un nuovo orientamento: investire, con profitto, i surplus valutari (che si accumulavano a ragione, in gran misura, dello squilibrio dei conti con l’estero Usa) in aziende, anche bancarie, del resto del mondo. Negli ultimi mesi, i Paesi europei hanno preso strade differenti di fronte a tali fondi, la cui gestione non risponde solo a logiche finanziarie: di norma incoraggiano l’afflusso d’investimenti ma ne vincolano l’impiego per evitare il controllo (da parte di fondi sovrani esteri) di aziende o settori strategici.
Il fondo sovrano che si sta allestendo in Francia (100 milioni d’euro) – e quello di cui si discute in Italia – hanno invece l’obiettivo di fare da para-urti a imprese ed a banche nazionali in una fase oggettivamente difficile. Quello francese verrebbe gestito, asetticamente, da “la vielle dame”, la Caisse de dèpôts et consignations) proprio per assicurare trasparenza di interventi limitati all’essenziale (nell’importo e nel tempo). Un fondo italiano (di cui si avverte l’esigenza- basta leggere lo studio di Medio Banca sulla capitalizzazione delle banche italiane) comporta, da un lato, la modifica di normativa appena varata (i due decreti leggi sugli interventi a favore di istituti in difficoltà) e, dall’altro, - è questo l’aspetto di fondo – assicurare che non operi “all’italiana”, come le leggi di ristrutturazione industriale del passato (dalla nefasta “legge Prodi” a tante altre) a quelle più recenti d’incentivazione (quale la legge 488). Tutte misure la cui gestione è stata ben incipriata a favore degli amici-degli-amici. I benefici di un fondo sovrano italiano ben gestito probabilmente supererebbero i costi. Avverrebbe il contrario per un fondo sovrano “all’italiana”.
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