Con tono imperiale, ma nella funzione (che gli compete) di Presidente di turno (per sei mesi) del Consiglio dei Capi di Stato e di Governo dell’Ue, Nicolas Sarkozy ha convocato i suoi colleghi per sabato 4 ottobre (San Francesco, patrono dei poverelli) a Parigi al fine di esaminare insieme le implicazioni della crisi finanziaria che sta travagliando i principali mercati internazionali. Il timing della convocazione è, senza dubbio, scelto con cura. Come “Libero Mercato” ha preavvertito mesi fa, l’‘”onda lunga” dello tsumani finanziario è arrivato in Europa, dove, però, non in tutti i Paesi si presenta con la stessa intensità e gravità: quelli i cui sistemi bancari e finanziari sono maggiormente internazionalizzati (Gran Bretagna, Francia, Benelux e, per certi aspetti, Germania) sono più esposti di quelli rimasti, non necessariamente per loro virtù, più orientati verso il mercato interno (come l’Italia). Inoltre c’è una scadenza puntuale: la settimana prossima , dal 7 al 14 ottobre, si tiene a Washington l’assemblea annuale del Fondo monetario internazionale (Fmi) e del Gruppo delle organizzazione che compongono la Banca mondiale. A Washington, i maggiori Paesi dell’Ue rischiano di presentarsi in ordine sparso, non solamente perché così fanno quasi ogni anno, ma a ragione della differenza d’intensità che l’attuale crisi finanziaria presenta in ciascuno di loro. Sarkozy ha l’ambizione di convincere i propri “confrères”, confratelli (gli altri Capi di Stato e di Governo dell’Ue) a intonare all’unisono lo stesso programma di fronte al resto del mondo la settimana prossima nella capitale Usa; è un’ambizione meritoria ma non necessariamente condivisa dagli altri partecipanti al consesso. Sarkozy ha anche idee abbastanza chiare su quale dovrebbe essere la posizione unitaria dell’Ue: un programma europeo non molto dissimile da quello che negli Usa l’Amministrazione Bush ha presentato al Congresso.
Occorre fare una premessa. Circa dieci giorni fa (ossia verso il 25 settembre) dalla diplomazia economica internazionale del Tesoro Usa (e – si dice – dalla Casa Bianca nei confronti dell’Eliseo) è partito non un invito ma un appello molto forte agli europei: siamo sulla stessa barca e, di conseguenza, dovete mettervi a remare anche voi ( a suon di miliardi di dollari). Come Libero Mercato ha ricordato il primo ottobre, il programma che prende il nome dal Segretario al Tesoro americano è la terza fase di una strategia per cercare di risolvere la crisi iniziata nell’estate 2007 con una massiccia iniezione di liquidità attuata all’unisono da Stati Uniti, Europa, Giappone e Canada. La seconda (attuata prima in Gran Bretagna, poi negli Usa ed adesso in vari Paesi europei) si è articolata in aiuti pilotati verso alcune istituzioni particolarmente nei guai (in certi casi gli aiuti sono diventati nazionalizzazioni). La terza, l’attuale, è generalizzata ed ha dimensioni mai viste in precedenze: ha l’ambizione di rimettere a fare funzionare il mercato cercando di scoprire quale è il valore (ossia il prezzo) di titoli complicati ed opachi da cui tutti rifuggono ma qualcosa pur varranno in quanto combinati con azioni, obbligazioni ed ipoteche di buona qualità. Nessuno sa quante risorse sono necessarie per andare sino al punto in cui il mercato (dei titoli) ricominciare a funzionare. Sempre secondo informazioni ufficiose provenienti da Washington (ma filtrate su siti finanziari web e mai smentite), l’attuale Amministrazione Usa vorrebbero che l’Ue aggiungesse almeno un paio di centinaia di miliardi di dollari ai 700 chiesti ai contribuenti americani. L’Ue (in particolare l’area dell’euro) è di fonte ad un dilemma: se risponde “no” non potrà contare sulla solidarietà del resto del mondo ora che il terremoto è arrivato anche da noi; se risponde “sì” dà un lungo addio al patto di stabilità. Ora l’idea di cui si fa portavoce Sarkozy è di un piano europeo, analogo a quello Usa, di 300 miliardi di dollari. Non è affatto chiaro chi lo gestirebbe (un’agenzia ad hoc come nel programma Paulson?). E’ chiaro, però, che si tratterebbe, si badi bene, non di un piano alternativo a quello, lanciato dall’Italia, di dare un maggior ruolo alla Banca europea degli investimenti (Bei) ed ad istituti nazionali consimili (ad esempio, la nostra Cassa Depositi e Prestiti, Cdp). Oppure di un piano complementare a quest’ultimo. Ma di un programma chiaramente aggiuntivo e, dunque, difficilmente compatibile con l’obiettivo del pareggio dei bilanci entro il 2011.
Per Sarkozy non è solamente in ballo una prova robusta e concreta di unità europea. Potrebbe, poi, dare una staffilata ai quei parrucconi della Banca centrale europea, la cui indipendenza dalla politica non è mai piaciuta né a lui né a diversi “confrères”. Sono in gioco anche solidi e legittimi interessi particolaristici. Gli istituti finanziari francesi sarebbero più a rischio di quelli di altri Paesi, forse troppo provinciali (ove non parrocchiali) ma piuttosto lenti nei loro processi di aggregazione interna e di internazionalizzazione. Non pensiamo unicamente al sin troppo ironizzato “club Med” (Grecia, Italia, Portogallo e Spagna) ma soprattutto a numerosi Paesi neo-conunitari. Il meccanismo di trasmissione è descritto vividamente da Gary Gorton dell’Università di Yale nel saggio “The Panic of 2007” appena uscito per i tipi del National Bureau of Economic Research.Quindi, la partita è chiara : il Presidente francese massimizzerebbe i benefici (in termini di reputazione politica), socializzando parte dei costi (finanziari).
Non è semplice decidere quale posizione prendere nei confronti delle idee del “grande fratello” Nicolas Sarkozy. Da un lato, la solidarietà comunitaria piace a tutti: chi non è nei guai oggi, potrebbe esserlo domani (ed averne bisogno). Da un altro, come si è accennato, molti vorrebbero dare alla Bce un calciò là dove, solitamente, non batte il sole. Da un altro ancora, a più di un Paese Ue (anche alla Francia) il “patto di stabilità” sta stretto, per altri, però, rappresenta l’ancòra e la stella polare di tutta la politica economica (è questo il caso dell’Italia).
Forse questo sabato a Palazzo non sarà nulla di più di un glorificato brunch sul tipo di quelli che si servono al Royal Manceau all’Avenue Hoche. Potrebbe anche essere il preludio di una vicenda europea di cui si vedrà la prossima puntata tra le foglie giallo-oro delle splendide ottobrate di Washington.
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