martedì 28 ottobre 2008

ORA LO TSUMANI INVESTE L’ASIA. A RISCHIO LA CRESCITA MONDIALE, Libero 28 ottobre

Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è rientrato soddisfatto dalla riunione dei Capi di Stato e di Governo dell’Asem tenutasi a Pechino il 24-25 ottobre. Per afferrarne la ragione occorre sapere cosa è l’Asem e di cosa si è discusso nella capitale cinese. Nella galassia delle sigle, l’Asem (Asia-Europe-Meeting) non è un’organizzazione internazionale, ma un’associazione, piuttosto informale, di Stati Europei ed Asiatici, nata sulla scia della crisi del debito estero di molti Paesi dell’Estremo Oriente (fine Anni 90). I Capi di Stato e di Governo degli Stati aderenti si riuniscono una volta l’anno; negli anni intermedi si incontrano i loro Ministri degli Esteri. Non ha un organico proprio; di volta in volta lo Stato che organizza la riunione “politica” annuale, gestisce il segretariato on-line (un elegante sito Internet). Priva di una struttura, l’Asem ha 45 soci (il termine tecnico è partner), che, insieme, rappresentano la metà del pil mondiale ed il 60% della popolazione e del commercio internazionale del globo. Accanto alle sessioni politiche, ce ne sono numerosissime tecniche (ad esempio, dei responsabili del commercio con l’estero) ed una vasta gamma di comitati: ho fatto parte, su indicazione non del Governo italiano ma della Banca mondiale e del Consiglio d’Europa, di quello su finanza pubblica e stato sociale, partecipato a riunioni a Manila, Washington e Bruxelles e promosso, con la Scuola superiore della pubblica amministrazione) un seminario internazionale alla Reggia di Caserta alcuni anni fa. Quindi, l’Asem è una realtà che poco costa ai contribuenti (non avendo né una sede né personale proprio) ma conta molto nel gioco economico e finanziario internazionale.
La riunione appena tenuta a Pechino ha avuto un tema poco trattato sulla stampa italiana: cosa può avvenire alla finanza ed all’economia reale mondiale se e quando lo tsumani finanziario arriverà in Asia. Europa ed Asia – ci si è chiesti a Pechino - possono dare una risposta comune all’appuntamento convocato degli Usa il 15 novembre? E’ stata, dunque, una sessione di grande rilievo preparatoria a quelle del 7 novembre (Parigi) e 15 novembre (dintorni di Washington). Per questo motivo, il settimanale “The Economist” del 25-31 ottobre ha dedicato alla riunione un’inchiesta e l’editoriale d’apertura - scritti ovviamente prima dell’incontro a Pechino e densi di preoccupazioni sullo “shock” finanziario che l’arrivo dello tsumani potrebbe portare alle Borse ed all’economia reale di Paesi come la Cina e l’India, che, negli ultimi anni, sono stati tra i motori dell’economia internazionale.
Inquietudini analoghe si respirano a Washington, all’angolo tra Pennsylvania Ave. e la 19sima strada, dove ha sede il Fondo monetario internazionale (Fmi). Secondo indiscrezioni, raccolte nella capitale Usa, il Fondo sta mettendo a punto uno sportello speciale per aiutare i Paesi emergenti (tra cui India) a parare la crisi finanziaria; lo sportello non sarebbe finanziato sulle risorse proprie del Fmi (ormai al lumicino tanto che è in programma un drastico taglio del personale) ma tramite i “fondi sovrani” di Paesi petroliferi e grazie ad un contributo straordinario del Giappone. Yusuku Horiguchi dell’Instititue for International Finance afferma che per ora, in Asia, si avvertono i prodromi di un problema di liquidità: “se dura troppo a lungo, potrebbe diventare un nodo di solvibilità”. Secondo C. Fred Bergsten dell’Institute for International Economics , il lato che da più da pensare è l’effetto sull’economia reale: una frenata in Cina ed in India (a causa dello tsunami finanziario) trasformerebbe una recessione moderata (a livello mondiale) in una lunga e profonda. Sempre secondo indiscrezioni, a Pechino si sarebbero fatti notevole passi avanti nella messa punto dello sportello: ciò spiega la soddisfazione di Berlusconi (e di Sarkozy) – si tratta di un risultato europeo ed asiatico non americano , aspetto da fare pesare al vertice convocato da G.W. Bush per il 15 Novembre e con chiunque , dal 20 gennaio 2009, sarà l’inquilino della Casa Bianca.
Vale la pena mettere in evidenza alcuni aspetti che rendono lo Fmi e non la Banca mondiale, o qualche nuova organizzazione istituita per la bisogna, particolarmente adatto a gestire lo sportello. Non solamente il dato pratico che da anni lo Fmi è semi-disoccupato e lavora a scartamento ridotto. Un’analisi europea (Università di Maastricht e di Lussemburgo – CESifo working paper N. 2131) , in base ad un campione di 25 mercati emergenti negli ultimi 15 anni, dimostra non solamente andamenti paralleli delle Borse ma anche un impatto positivo sull’economia reale della liberalizzazione finanziaria e commerciale – a rischio di marcia indietro a ragione dell’onda lunga. Un altro lavoro (della Lancaster University e della Johns Hopkings University School of Advanced International Studies), in base ad un campione di 37 Paesi emergenti, avverte come in questi Paesi tensioni nelle Borse interne contagiano i cambi; sulla stessa scia il CEPR discussion paper n. DP6148, documenta come stia tornando la speculazione valutaria a proposito delle divise dei mercati emergenti. Anche perché il debito estero sovrano di molti di questi Paesi – lo rivela uno studio di Banca mondiale, Università Pompeu Fabra di Barcellona e Mit – è in gran misura a breve termine (quindi più sensibile a tensioni). Il mercato dei cambi (dove evitare speculazioni) ed il breve termine sono campi d’elezione del Fmi. Da quando ha iniziato ad operare nel 1945.

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