Il dibattito sulle misure europee in materia climatico-ambientale deve essere posto in prospettiva. In primo luogo, quando furono concordati gli obiettivi quantitativi del “pacchetto clima” non si era sulle soglie di una recessione europea che verrebbe aggravata dall’aumento dei costi di produzione. Lo sottolinea “The Economist” in edicola: in commento afferma che l’Italia dice ciò che gli altri pensano e spesso già fanno (alla chetichella). In secondo luogo, mentre i costi sono più o meno noti (tra i 10 ed i 20 miliardi l’anno per quanto attiene all’industria italiana, secondo le stime della stessa Commissione Europa), troppo poco lavoro è stato fatto per quantizzare i benefici e definire così una politica ambientale sostenibile.
Tutti ricorderanno le profezie del Club di Roma all’inizio degli Anni 70: se non fossimo tornati a zappare l’orto ed ad andare in bicicletta, le risorse si sarebbero esaurite prima della fine del secolo. Un libro di successo in Francia - “L’enfermement planetarie” di André Lebeau- ha spostato la fine del mondo di qualche decennio (ove non riducessimo ulteriormente la natalità e non tagliassimo drasticamente i nostri consumi).
Il modello econometrico adottato dall’Unctad (l’agenzia Onu per il commercio e lo sviluppo) smentisce queste prospettive. Lo ha elaborato un economista giapponese – Akira Onishi-, il suo acronimo è Fugi (Future of Global Interdependence), e vi si tiene esplicitamente conto dei benefici ambientali connessi al miglioramento della qualità della vita e dei loro effetti dinamici: nell’assunto che, per ragioni tecnologiche, si possa fare poco o nulla in tema di riduzione di emissioni di CO2 e di fabbisogno di energia combustibile prima del 2020. secondo Onishi (che si è detto disponibile a rispondere in prima persona ai lettori di Il Tempo- il suo mail è akira.onishi@palette.plala.or.jp) , il progresso tecnologico indurrà ad una sempre più marcata tutela ambientale “implicita” (specialmente in tema di rischi di riscaldamento climatico) e le economie mature (come Italia e Giappone) potranno riprendere a crescere a tassi sul 2,5% (molto più elevati quelli delle economie emergenti).
Non mancano metodi, tecniche e procedure di stima di benefici ambientali. In Italia, da decenni esiste una scuola che ha come punti di riferimento le Università di Pavia e di Padova. Il vostro “chroniqueur” ne ha trattato ampiamente in saggi usciti negli Anni 80 sulla rivista scientifica “Public Choice” ed in un libro recente sulla valutazione dell’incertezza. Purtroppo, in questo campo, i servizi della Commissione di Bruxelles hanno fatto poca strada e si baloccano con strumentazione obsoleta (come il “logframe” e “l’albero dei problemi”). Quando negli Anni 90 si sono rivolti ad uno stuolo di consulenti ed a sei saggi (ero uno di loro) per definire metodi e procedure di analisi costi benefici, hanno preferito pagare puntualmente ma non incorporare nessuno degli ammodernamenti metodologici proposti. “Chacun à song out” (“Ciascuno a suo modo”), come si dice a Bruxelles.
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