martedì 7 ottobre 2008

IL FEDERALISMO FISCALE E QUELLO LAVORISTICO Formiche Ottobre

In autunno, quando questo fascicolo di “Formiche” sarà in libreria ed in edicola, l’attenzione del Parlamento non sarà rivolta alla sessione di bilancio ed alla legge finanziaria (come di consueto in questa stagione), ma alle grandi riforme istituzionali e strutturali. In primo luogo quella relativa al federalismo fiscale, tema trattato più volte dalla nostra rivista sia in questa rubrica sia in altre parti. Poco prima dell’estate, il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali ha diramato un “Libro Verde” sul futuro del welfare ed in particolare sul modello che lo stato sociale deve assumere in una società attiva. E’ un “Libro” “aperto” nel senso che, nelle sue 24 pagine, si tracciano direzioni ma non si propone, in modo apodittico, alcuna scelta precisa ; nei mesi sino ad ottobre, verranno tenute consultazioni per giungere a quella che, in linguaggio anglo-americano, viene chiamata una “blueprint”, ossia un programma puntuale di strategie, programmi, progetti, misure ed azioni.
Dato che il dibattito sul “Libro Verde” andrà, nelle discussioni politiche, di pari passo con quello sul federalismo fiscale, occorre chiedersi se non il secondo non implica anche un certo grado di federalismo lavoristico (in tema di sanità e di politiche sociali, il principio di sussidiarietà ci ha già portati ad un elevato elemento di federalismo).
Un segnale importante in questa direzione viene da un libro di Richard Freeman dell’Università di Harvard: “American Works: the Exceptional U.S. Labor Market”, pubblicato circa un anno e mezzo fa negli Usa; in Italia avrebbe meritato maggiore attenzione anche perché Freeman conosce bene il nostro Paese (è stato professore all’Istituto Universitario Europeo a Fiesole). In primo luogo, il lavoro fa piazza pulita dello slogan secondo cui gli italiani sarebbero fannulloni (o preferirebbero il tempo libero al lavoro): quelli occupati lavorano, in media 1826 ore l’anno, soltanto una di meno dei britannici (in testa alla classifica), molte di più dei tedeschi (1442), dei francesi (1555) e degli stessi americani (1809). Se abbiamo lavoro, quindi, ce la mettiamo tutta. L’Italia ha i tassi più bassi di partecipazione al mercato del lavoro: appena il 57,4% (rispetto al 70% degli americani e degli scandinavi) della popolazione in età da lavoro è occupata e lavora, mediamente, 20 settimane l’anno (rispetto alle 25 negli Usa ed in numerosi Paesi del Nord Europa).
Ci sono freni socio-culturali (in Italia, il 55% delle donne non è occupata rispetto a meno del 30% nei Paesi nordici ed utilizziamo mediamente 8 settimane di congedo l’anno, rispetto a meno di 4 per gli americani ) ma anche istituzionali. Un dato spicca su tutti: lo scarto tra la “densità sindacale” (ossia il tasso d’iscrizione a sindacati), ormai al 34% dei lavoratori (uno dei più bassi in Europa, dopo quelli di Francia, Germania, Svizzera e Spagna) ed il tasso di copertura dalla contrattazione collettiva (un buon 83% tra i più alti nei Paesi Ocse, altissimo se raffrontato al 14% degli Stati Uniti). La bassa partecipazione al mercato del lavoro, quindi, non dipende soltanto o principalmente dall’alta pressione tributaria e contributiva – come sostengono Tine Dhont e Freddy Heylen in un saggio nell’ultimo fascicolo di “Economic Inquiry”- ma dalla contrattazione collettiva nazionale (fortemente centralizzata) e dal limitato sviluppo della contrattazione integrativa su base regionale e settoriale, pur prevista dal cosiddetto “accordo di San Tommaso”, il patto sociale del luglio 1993 (che rappresenta ancora il quadro di riferimento). Robert Inam della Università di Pennsylvania del federalismo in 73 Paesi: una struttura federale, anche in materia lavoristica, è spesso correlata ad un migliore andamento dell’economia in quanto incentiva una maggiore partecipazione e stimola una maggiore competitività. Non si tratta di tornare a strumenti amministrazioni del passato (come le “gabbie salariali”) ma a regole ed a prassi che siano in linea con le esigenze locali e ne promuovano la produttività, anche utilizzando – come proposto da Freeman – varie forme di partecipazione agli utili.

Saremo in grado di coniugare federalismo fiscale con federalismo lavoristico? Le esperienze internazionali ci dicono che devono andare di pari passo – quella americana, in particolare, che questa è stata la ricetta per fare diventare il Sud degli Usa dall’area meno sviluppata a quella più alto reddito. Il percorso è difficile perché comporta modificare, drasticamente, le prassi e forse anche le strutture delle organizzazioni sindacali.

RIFERIMENTI
Don’t, T. , Freddy H. "Why do Europeans Work (Much) Less? It is Taxes and Government Spending" Economic Inquiry, Vol. 46, Issue 2, pp. 197-207, April 2008


Freeman R. “America Works: The Exceptional U.S. Labor Market”, Russel Sage Foundation 2007

Iman R. "Federalism's Values and the Value of Federalism" CESifo Economic Studies, Vol. 53, No. 4, December 2007

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