Gran parte della stampa italiana (e molte testate europee – l’eccezione sono alcuni quotidiani britannici), presentano le misure messe in atto dai Governi sui mercati finanziari come interventi o di natura keynesiani o mirati a correggere imperfezioni profonde di mercato (da raddrizzare con il ritorno della programmazione). La prima interpretazione è marcatamente errata, specialmente per quanto attiene gli Usa dove i consumi delle famiglie stanno crescendo ad un tasso del 2,5% (nonostante, secondo i calcoli più recenti - Fordham University Department of Economics Discussion Paper No. 2008-13 – l’indebitamento dei consumatori sia pari al 130% del loro reddito complessivo disponibile). C’è un elemento corretto nella seconda lettura: la teoria economica dell’informazione (in Italia studiata principalmente dal collega Enrico Saltari) non ha retto bene alla velocità con cui, a ragione delle nuove tecnologie, l’informazione si è diffusa a ritmi così rapidi da potere essere male interpretata da chi manca dell’alfabetizzazione finanziaria di base. La scorsa primavera Christopher Whalen dell’Institutional Risk Analytics lo aveva avvertito nello studio "The Subprime Crisis: Cause, Effect and Consequences" (chi desidera può chiederlo direttamente all’autore per posta elettronica: cwhalen@istitutionalriskanalytics.com) . Ancora più eloquente la risposta scettica nel volume di George Cooper (un banchiere di JP Morgan non un topo di biblioteche) “The Origins of Financial Crises: Central Banks, Credit Bubbles and the Efficient Market Fallacy” (Harriman House, New York 2008). Secondo Cooper, a ragione d’asimmetrie informative, le banche centrali e le autorità in generale possono aggravare con i segnali che inviano (salvataggi in tempi bui, espansionismo eccessivo in altri) le situazioni invece di calmierarle: scoraggiano individui, famiglie ed imprese dal risparmiare e dall’essere prudenti, creano un eccesso di credito (sovente alla base di bolle speculative).
In questo quadro, il piano Paulson (una cui nuova versione sarà giovedì all’esame del Congresso) non deve essere letto come un intervento keynesiano ma come una misura per cercare di individuare l’elemento centrale per il funzionamento del mercato finanziario (in seguito alla crisi del subprime): quale è il “fair market value” (il valore appropriato di mercato) delle varie categorie di titoli strutturati nei forzieri e nei cassetti delle istituzioni finanziarie, delle imprese, dei molti enti locali e delle famiglie : lo scrive a tutto tondo Lucian Aryen Bebchkuk nello “Harvard Law & Economics Discussion Paper n. 620 diramato (in stesura provvisoria) proprio il 29 settembre. Lucian Aryen Bebchkuk – è bene sottolinearlo – non sostiene il programma Paulson ma una sua profonda modica. L’assunto di base delle modifiche proposte e del programma sono, però, le medesime: la crisi del subprime è così vasta e così profonda che non si sa quale è il prezzo di molti titoli (il 50% del valore facciale nominale, il 20%, nulla???) e, soprattutto, non si sa cosa avverrà al prezzo se un buon samaritano (Pantalone) propone di acquistarne parte, nella consapevolezza che senza prezzo non ci può essere mercato. Ed i guai saranno maggiori. E’ importante sottolineare che anche questa mattina 30 settembre Floyd Norris del “New York Times” metteva l’accento che la critica principale al programma sono gli “sweeping powers” (“potere eccezionali”) che nella versione presentata la settimana scorsa al Congresso avrebbe dato al Segretario al Tesoro. E’ meccanismo che può, e probabilmente, deve essere modificato prevedendo un sistema di market makers nel secondario. Le variazioni tecniche sul tema possono essere molteplici. In materia, gli Usa possono anche prendere in considerazione qualche ideuzza dalla vecchia Europa.
Cerchiamo di schematizzare gli interventi di Governi e banche centrali da quando nell’estate 2007 è scoppiata una crisi, peraltro già annunciata da molti mesi. In una prima fase (l’inizio dell’estate 2007), si è fatto ricorso ad interventi tradizionali di aumento della liquidità (mirata al sistema bancario); sono stati salutati con orgasmi di gioia da alcuni commentari (anche italiani) convinti che si sarebbe presto rimessa in moto la macchina (e data fiducia al sistema finanziario). In una seconda fase, ci sono stati interventi diretti e specifici analoghi a quelli attuati anni fa al momento della crisi del fondo Ltcm: Northern Rock in Gran Bretagna, finanziarie sempre più importanti (sino ai colossi del credito ipotecario) negli Usa. In una terza fase – quella in corso negli Stati Uniti – ci si è finalmente resi conto che senza individuare quale è il valore (delle varie categorie di titoli) e quale è la creazione potenziale di valore (ad essi afferente: la finestra di opportunità) non funziona nessun mercato – la teoria dell’”efficient market pricing” ha mostrato tutti i suoi limiti, noti agli barbosi accademici ma non agli operatori di mercato ed ancora meno ai giornalisti. Se non si sa quale è il prezzo e quale la creazione potenziale di valore, occorre andarla a cercare mettendosi su quel che resta del mercato, per paludoso ed inquinato che sia.
Una strategia analoga è stata seguita con successo alla fine degli Anni 80 con la crisi del debito estero latino americano ed alla fine degli Anni 90 con quella del debito asiatico. In ambedue i casi, le dimensioni erano molto più modeste e le crisi non si intrecciavano con gli squilibri globali (disavanzo strutturale dei conti con l’estero Usa). Le istituzioni internazionali (Fmi, Banca mondiale, ed Ue) ed alcune agenzie bilaterali di cooperazione hanno in un primo momento fatto piazza pulita del debito inesigibile dei Paesi più poveri e successivamente operato sul mercato secondario perché su quelle piazze si definisse valore e creazione potenziale di valore dei titoli di debito latino americani ed asiatici (per una descrizione G.Pennisi e G. Scanni “Debito, crisi e sviluppo”, Marsilio 1992).
In America , con il programma Paulson, siamo alla terza fase. In Europa siamo a metà tra la prima e la seconda – iniezioni di liquidità ed interventi specifici. Auguriamoci che la nostra tendenza ad essere impiccioni e pasticcioni non faccia più danni di quelli che intende eliminare.
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