venerdì 3 ottobre 2008

LA GARIBALDINA GIOVANNA D’ARCO DI VERDI, Il Velino 3 ottobre

Con “Giovanna d’Arco” è stato inaugurato, al Regio di Parma, il festival verdiano 2008. Non so se Verdi, alla ricerca di opere a carattere risorgimentale, avesse mai pensato di comporre un’opera su Anita Garibaldi. Negli Anni 50, quelli della trilogia popolare, ci sarebbero stati tutti gli ingredienti: un primo atto in America Latina, la difese della breve Repubblica Romana con scene di battaglia sul Granicolo, amore e morte tra le paludi del Comacchio. Probabilmente, non lo fece perché aveva già composto (in un mese) qualcosa del genere nel 1945, ossia anzi tempo, quando, spinto di editore ed impresario, mise mano controvoglia a “Giovanna d’Arco” per il Teatro alla Scala (dove si poteva essere “patriottici” se si spostava l’azione di alcuni secoli. All’epoca la Pulzella d’Orléans non era stata ancora canonizzata (ciò avvenne nel 1920); sulla falsariga di una tragedia di Schiller, era stata argomento di opere di Michele Carafa, Nicola Vaccai, Giovanni Pacini . In tutte si era posta enfasi sull’unità nazionale (in Francia nel XV secolo) per trarne paralleli con l’Italia. Schiller era un poeta tedesco molto serio: la sua tragedia riguardava la tensione tra la missione sovrannaturale e la natura umana di Giovanna, con pochi accenni di contorno al processo di unificazione nazionale. Temistocle Solera (librettista di Verdi) era un patriota rivoluzionario da non poco: il padre era stato condannato a morte dagli austro-ungarici per sovversione (ma fu poi amnistiato), Temistocle scappò all’estero con un bel soprano (lasciando il lavoro incompleto). Vedi, per di più, in quegli anni aveva perso la Fede: la morte della moglie e dei figli lo avevano convinto che in un mondo con tanto male non c’è posto per Dio, viveva “in peccato” con Giuseppina Strapponi, teorica dell’ateismo “lieto”. Quindi, la “sua” Giovanna ascoltava le voci più della carne che dall’Alto. In breve siamo alle prese con una vicenda di passione amorosa (tra la fanciulla e il Re di Francia). Giovanna non muore sul rogo , ma combattendo e salvando la Francia. Che fosse “indiavolata” ne era convinto (nel pessimo libretto) il padre Giacomo, il quale la consegna agli inglesi, prima di pentirsene amaramente, farla fuggire dal carcere e ridarla al campo di battaglia.
L’opera venne composta in un mese, senza grande ispirazione. La partitura verdiana è un passo indietro rispetto a “Nabucco” e “I Lombardi alla Prima Crociata”, le opere che la hanno preceduta. Ci sono anticipi del “Macbeth” (i cori delle streghe) . Interessanti l’ouverture (ispirata al rossiniano “Tell” e piena di senso paesaggistico- la foresta, la grotta, la cattedrale di Reims), un paio di bei duetti d’amore, i cori. Un solo personaggio è scavato a fondo – teatralmente e musicalmente: il tormentato padre Giacomo, figura autobiografica centrale nella poetica verdiana (si pensi a “Rigoletto”, a “Simon Boccanegra”, a Guido de Monfort ne “I Vespri Siciliani”, a Filippo II in “Don Carlo”)
Raramente rappresentata in Europa (ne ricordo un allestimento a Bologna alla fine degli Anni 80), l’opera è curiosamente spesso in scena negli Usa, specialmente nelle Schools of Music delle maggiori Università. Le viene data una lettura fortemente nazionalistica: un’edizione da me vista situava il tutto nella “war between the States”, ossia in un ambientazione da “Via col Vento”. A Parma le produzione regge grazie principalmente alla regia di Gabriele Lavia, alle scene di Alessandro Votti, ai costumi di Andrea Viotti e soprattutto alla concertazione di Bruno Bartoletti. Con un’ambientazione quattrocentesca ma tra quinte risorgimentali ed una direzione d’orchestra tersa riescono a dare unità drammaturgica e musicale ad un lavoro che poca ne ha.

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